
Hotel Lagoverde, in libreria dallo scorso settembre ed edito da Liber Aria, è un libro molto particolare, un esperimento narrativo, ben riuscito, ideato da Gianluigi Bodi. Perché lo definiamo un esperimento? Per la sua ingannevole struttura che si presenta come una raccolta di racconti mentre la sensazione a fine lettura è quella di un romanzo destrutturato, senza incipit e conclusione, solo svolgimento.
L’idea di Bodi, curatore e autore, è stata quella di ospitare alcuni autori nelle camere di questo Hotel Lagoverde, dieci voci per scrivere un racconto legato a quel luogo-non-luogo e ai personaggi che abitualmente lo abitano. Questi sono i due vincoli narrativi che accomunano ogni autore, poi ciascuno è stato libero di raccontare l’esperienza immaginaria di essere ospitato in un hotel difficile da raggiungere, perché non compare nelle mappe, il segnale gps per raggiungerlo si disattiva dopo aver oltrepassato l’unico paese nelle vicinanze e il wi-fi è un’anomalia per lo stile di vita che l’hotel stesso ha scelto per sé.
Cosa accade, dunque, al lettore che si trova in compagnia di Emanuela Canepa, Michele Orti Manara, Giulia Mazza, Alessandro Cinquegrani, Daniela Morano, Cristò, Paolo Zardi, Ivano Porpora, Domenico Dara e Gianluigi Bodi? Accade di sentirsi disorientato, a volte, ma di assaporare suggestioni al confine tra il verosimile-possibile e l’incredibile, soprattutto di respirare una dimensione quasi onirica, quasi perché qualcuno c’è già stato da bambino e ci ritorna, ma ritorna lì per davvero? Accade che a ogni pensiero di certezza segue il dubbio e viceversa.
Ciò che rimane, a libro chiuso, è la sensazione che chi raggiunge l’Hotel Lagoverde stia compiendo quel viaggio, o meglio, quel soggiorno necessario in alcuni momenti della vita per soffermarsi a cercare un senso, a trovare risposte a domande che talvolta uno si fa, ma poi il tempo le conduce all’oblio. Lo stupore e il valore sta proprio nell’autenticità della voce di ciascuno autore, nella loro diversità di stile -di narrazione e di soggiorno- che da raccolta di racconti trasforma il libro in un romanzo corale il cui unico protagonista è l’anima dell’Hotel Lagoverde.
Intervista
Quando e come nasce l’idea di questo esperimento narrativo?
Direi che, come la maggior parte delle cose che faccio con la scrittura, tutto è nato da una serie di chiacchierate, stimoli diversi che poi ho messo assieme. Qualche anno fa ho scritto un romanzo per racconti che aveva, come filo conduttore, un luogo ben preciso. Un aparthotel abitato da persone anziane. Come si dice in questi casi l’esperienza è stata formativa, ma non ha portato a risultati editoriali. L’idea di raccontare un unico luogo, fin quasi a farlo diventare il personaggio principale non mi ha mai abbandonato. Nel 2019, durante un viaggio in treno con Alessandro Cinquegrani ho ripreso in mano il discorso e da lì poi è partito il progetto vero e proprio, coinvolgendo l’editrice, le autrici e gli autori.
Nella tua prefazione c’è un omaggio al grande scrittore Cortázar e l’augurio che in Hotel Lagoverde “aleggi un po’ del suo essere un meraviglioso Cronopio”. Puoi spiegare questo riferimento per chi non conosce l’autore argentino?
Prima di tutto devo confessare il mio amore incondizionato nei confronti di Julio Cortázar. È grazie a lui se ho iniziato a leggere racconti. Quando ho finito di leggere il suo La casa occupata ho capito di aver trovato un autore che mi avrebbe accompagnato per sempre. La citazione che riguarda il Cronopio ha a che fare con una sua opera intitolata Storie di cronopios e di famas dove i famas sono i rigidi burocrati, le persone senza fantasia, gli esseri grigi incapaci di vivere fuori da uno schema predefinito; i cronopios, per contro, sono pura gioia, esaltazione, creazione e creatività. Cortázar era decisamente un cronopio con i fiocchi e a me sarebbe piaciuto davvero molto poterlo incontrare, anche se, temo, mi avrebbe considerato un famas.
In tempi in cui si deve mantenere la distanza, evitare gli assembramenti, questo libro scritto a più mani ha un grande valore simbolico: al di là della bellezza del risultato, quanto è stato difficile tenere le fila di così tanti scrittori, ognuno col suo stile e la sua personalità?
La parte difficile, per quel che mi riguarda, non è mai avere a che fare con gli autori e le autrici, ma organizzare i tempi di tutti. Quando ho iniziato a pensare al progetto ho, prima di tutto, stilato una lista di persone con cui mi sarebbe piaciuto lavorare. Con alcune di esse avevo già collaborato in passato, altre invece sono state una vera e propria scoperta. Ho cercato di costruire un gruppo che fosse basato principalmente sulle qualità umane e infatti ho coinvolto solo persone che rispettavo dal punto di vista umano e che apprezzavo dal punto di vista letterario. Con un’accoppiata del genere le cose non potevano andare male.
Oltre a essere curatore sei anche autore, per quale motivo il tuo è l’ultimo racconto?
Avevo fornito agli autori un canovaccio abbastanza stringente che aveva a che fare con l’uso degli ambienti e dei personaggi. Era necessario che ci fosse omogeneità tra i racconti. Le voci degli autori e delle autrici coinvolte sono molto diverse tra loro, ma il luogo in cui le loro storie si svolgono doveva essere identico per tutti. Quindi, come dicevo, ho dato delle indicazioni molto chiare, ma alcune informazioni le ho tenute solo per me perché nascondevano la vera natura del luogo e delle persone che lo abitano. Era necessario che il mio racconto fosse l’ultimo perché dovevo tirare le fila del lavoro di tutti.
Prima di chiudere, torniamo all’inizio: citi una strofa di Hotel California degli Eagles, canzone che fu in cima alle classifiche quand’eri ancora in fasce. Le mie curiosità sono quindi: quanto sei appassionato degli Eagles? Quanta importanza ha la musica nel tuo percorso di narratore? Le canzoni sono brevi racconti?
Non posso dirmi un appassionato degli Eagles. Hotel California è del 1976, io ero nato da poco, amo pensare che quella canzone aleggiasse sopra i miei primi passi e fosse la colonna sonora delle prime cadute. Quindi il mio rapporto con loro è strettamente legato a questa canzone e devo confessare di aver preso come spunto per la mia visione dell’Hotel Lagoverde alcuni versi di Hotel California. La musica ha un’enorme importanza nel mio modo di scrivere. Mi rendo conto che alcune delle immagini che cerco di descrivere quanto scrivo partono da immagini che ho “visto” mentre ascoltavo una canzone. A volte invece cerco di mettere su carta la sensazione che una canzone mi ha procurato e mi rendo conto che non sempre ciò che sento e il testo della canzone risuonano allo stesso modo. Credo che sia proprio questa la forza della musica, quella capacità di arrivare diversa a ognuno di noi. Ho scritto racconti ispirati ad alcune delle mie canzoni preferite, ho scritto usando la musica come sottofondo, ma soprattutto ho letto centinaia di libri con le cuffie nelle orecchie. Per me musica e letteratura hanno un rapporto indissolubile. Poi, sai, non so dirti se le canzoni siano brevi racconti oppure, come spesso sento dire, poesie. Credo che la musica possa sfruttare un connubio tra parole e musica a cui lo scrittore non può attingere. La musica ha un linguaggio proprio che le permette, forse, di essere racconto e di essere poesia, ma soprattutto di essere sé stessa.
Quale o quali progetti hai ora in mente?
Il progetto più importante per il futuro è quello di continuare a scrivere con sempre maggior consapevolezza e cercare, nel mio piccolo, di alzare sempre un po’ più in alto l’asticella. Ho una raccolta di racconti pronta, un primo romanzo che sto lasciando decantare un po’ e un secondo, già iniziato, che occupa molti dei miei pensieri. Non so cosa ne sarà di quello che ho scritto e che, al momento, occupa il proverbiale cassetto. Vedremo. Come dicevo, spero di continuare a scrivere e di farlo sempre meglio. Ci sono così tanti autori e tante autrici li fuori, persone con un talento immenso, semmai mi capitasse di pubblicare qualcosa di mio non vorrei sfigurare.
Permettimi di ringraziare Giorgia Antonelli, l’editrice che, con LiberAria ha creduto al progetto fine dalle prime fasi. In pratica mi ha dato carta bianca e questo, per me, significa molto.
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Gianluigi Bodi è ideatore e autore del blog letterario Senzaudio.
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