Alba senza giorno | L’ultimo romanzo di Fernando Coratelli

Alba senza giorno

La nuova collana Incursioni della casa editrice Italo Svevo, curata da Dario De Cristoforo, viene inaugurata con Alba senza giorno, l’ultimo romanzo di Fernando Coratelli. La qualità dello scritto collima con gli intenti dichiarati dal direttore di collana: libri dal tempo lento –con le pagine intonse com’è d’uopo per la Italo Svevo– in cui la bellezza delle storie proposte non è mai fine a se stessa, ma esprime e libera la profondità dei contenuti. I libri, sottolineano inoltre gli ideatori, si contraddistinguono per sensibilità e intelligenza, istinto narrativo e sguardo acuto sulla realtà.

Ognuna delle sopraelencate caratteristiche emerge durante la lettura di Alba senza giorno, accompagnate da una scrittura di alto livello, risultante della rara capacità di alcuni autori –Coratelli, per esempio– di conoscere a tal punto i maestri della letteratura, italiana e non, da assorbirne lo stile, il linguaggio e il pensiero fondante la parola, per elaborarli e restituirli in una scrittura contemporanea, incisiva e fluida al contempo.

Non solo: Coratelli utilizza una scrittura visiva capace di evocare sia i luoghi (le piazze e le stazioni della metropolitana a Berlino, la periferia di Milano o la casa di un killer nel ruolo del ‘buon padre di famiglia’) sia la fisionomia dei personaggi (la dolcezza di Stéphka, la voce di Martina, l’espressione del volto di Stoian mentre suona il violino), ma la sua scelta è ancora più raffinata perché la narrazione è costruita sull’intento di suscitare nel lettore uno sguardo, obliquo e straniante, attraverso cui osservare l’esperienza di discriminazione razziale, subita o agita. La peculiarità stilistica si ritrova nell’evitare di trattare il razzismo come tema centrale del romanzo ma di spennellarlo come fosse un orizzonte scenografico davanti a cui le tre storie raccontate si intrecciano e i protagonisti di una o dell’altra compaiono come incursioni nelle vite altrui.

Alba senza giorno è un romanzo dinamico, disegna linee curve sul piano narrativo che si crea tra l’asse cartesiano del tempo e quello dello spazio; ci sono tre storie, quella di Stoian e Stéphka, giovane coppia rom che lascia il paese natìo per cercare un lavoro in Europa e andare a vedere il mare, quella di Martina, giovane madre che ricomincia a lavorare in una Milano più preoccupata per un campo rom che per manovre illecite di studi notarili, e quella di Tonino Cortale, un sicario della ’ndrangheta che deve vendicare l’uccisione di uno dei capi della ’ndrina operante al nord; ci sono tre differenti t0 rispetto all’alba senza giorno: un anno prima, sette mesi prima e quindici giorni prima che portano al punto d’intersezione, nelle ultime 13 pagine che compongono il capitolo finale “Oggi, 25 maggio”, le vite dei protagonisti, contaminandosi alla fermata Romolo della metro di Milano. E il violino? La sua musica viaggia assieme al lettore e attraversa i confini fisici e immaginati.

Alba senza giorno diventa, se pur nella finzione narrativa, un ritratto fedele di quanto avviene nelle strade di una qualsiasi città italiana soggetta a flussi migratori e a flussi monetari, ché il ruolo di Tonino Cortale, a cui è dato meno tempo espositivo, non va sottovalutato in quella prospettiva di osservatorio acuto sulla realtà.

Intervista

Quando nasce il romanzo, come idea iniziale e come struttura, dato l’intreccio delle tre storie?

Il romanzo nasce parecchio tempo fa, precisamente nell’estate del 2009, dopo un fatto di cronaca che mi aveva colpito e che avevo trasformato in un racconto breve. Era un racconto che aveva come protagonisti Stoian e Stéphka (anche se al tempo non li avevo ancora chiamati così) e che incrociavano in metropolitana gli altri due personaggi, Martina e Tonino. Da lì, poi, ho pensato le loro vite a ritroso, così ho costruito il romanzo. Ripensando ai giorni precedenti che caratterizzano la vita dei personaggi, prima di quell’incontro. È stato così che ho costruito le tre storie, e le ho intrecciate e alternate.

Parallelamente alle incursioni dei personaggi, l’uno nella vita dell’altro e a loro stessa insaputa, giochi anche con la struttura spazio-temporale, è il tuo stile narrativo?

Sì. Risposta secca. Anche i lavori precedenti hanno strutture spazio-temporali simili, diciamo che cerco di riprodurre così due mie grandi ossessioni: il caso e la frammentazione. È un modo di vedere gli avvenimenti, leggere gli eventi, con balzi temporali e spaziali, oltre che cambi di prospettiva e punti di vista.

Sei un grande lettore, capace inoltre di trasferire gli insegnamenti dei Maestri della letteratura nella tua scrittura: chi avresti voluto incontrare di loro e cosa avresti voluto chiedergli/le?

Ahia, domanda difficile cui mi verrebbe col rispondere di avere una flotta di autori che avrei voluto incontrare. Provo a non esagerare e citarne un paio, o magari tre. Diciamo che di sicuro avrei voluto incontrare Albert Camus e, più che chiedergli, avrei voluto discutere con lui del mito di Sisifo, di quella felicità nel riportare in cima il masso. Poi avrei voluto incontrare Beppe Fenoglio e chiedergli quanto avesse influito in lui la letteratura americana, che ai tempi non era tanto diffusa da noi. Fenoglio è un maestro italiano del cosiddetto «show, don’t tell». E poi avrei voluto incontrare John Dos Passos, perché è lui il maestro di quelle strutture spazio-temporali di cui mi sono imbevuto, e hai voglia con lui a chiedere segreti ulteriori! Mi fermo a loro tre, ma già sento di avere commesso torti irreparabili a altri maestri che spero non si offendano dall’Olimpo narrativo.

Come nascono i tuoi personaggi? Sei più un osservatore o un ricercatore?

Sono sicuramente un osservatore molto attento. Da piccolo mi divertivo a fare le imitazioni, non della voce, ma delle movenze, dei gesti, e credo che quest’attitudine a suo modo mi sia rimasta addosso. Poi però ricerco, non mi fermo solo all’osservazione; diciamo che indago. I personaggi nascono così, da incontri casuali, poi spesso mi ronzano in testa per tanto tempo, finché un giorno incontrano un altro personaggio. Da lì interagiscono nella mia testa e si creano trame.

Una considerazione sullo stato attuale della lingua italiana?

La lingua evolve. Questo da sempre, non da oggi. Per cui non vedo come la fine dei tempi la creazione di nuove parole, di contaminazioni, di sintassi stravolte. Quello che mi dispiace è la perdita della memoria linguistica. Mi spiego meglio. Accanto alle evoluzioni non dobbiamo cancellare il precedente, ma provare a congiungerli, a farli convivere, mentre spesso oggi vedo o una lingua (scritta, si intende) un po’ antica e impolverata, o una piatta che simula la realtà senza afferrarla o, peggio, scimmiottando la lingua di traduzione che spesso non è né letteraria né realistica, ma un compromesso fra le due che il traduttore si trova costretto a fare nel tentativo di riprodurre l’originale.

Ogni storia o filone interno al romanzo, fa da sfondo a temi di grande rilevanza, uno di questi mi porta a chiederti: perché, secondo te, la diversità continua a essere un disturbo?

La diversità fa paura «dalla notte dei tempi», come avrebbe detto mia nonna. Non è tanto e solo il diverso in sé, quanto il diverso che migra che incute una paura profonda. Questo succede nella Bibbia tra Caino e Abele, lo stanziale Caino è infastidito dal nomade Abele. Ma capita anche nella fondazione di Roma tra Romolo e Remo, Remo varca il segno tracciato e trova la morte. L’essere umano nel profondo è un maniaco compulsivo impaurito, che ricerca nella costruzione di abitudini e confini la sopravvivenza di una vita che, in realtà, gli pesa. E quella pesantezza, quell’inadeguatezza la espelle fuori di sé aggredendo ciò che non si allinea al suo maniacale ordine. Hai mai provato a spostare un oggetto sulla scrivania di un maniaco compulsivo? Se ti va bene si limiterà a rimetterlo a posto, altrimenti ti urlerà contro che sei un disordinato, che crei confusione, che non sai stare al tuo posto.

La musica ha un ruolo speciale nel romanzo, qual è la tua musica preferita?

A questa domanda davvero non saprei cosa rispondere. Negli anni ho ascoltato parecchia musica anche molto differente, la più disparata. Ricordo solo che mentre scrivevo il romanzo ascoltavo parecchia musica balcanica, per dirla alla Battiato, alternata a alcuni brani pop-rock, in particolare alcune che mi hanno fatto da colonna sonora. Erano «Waiting Around to Die» nella versione cantata da The Be Good Tanias, e «Formidable» e «Tu les mêmes» di Stromae, che a un certo punto cantano anche Stoian e Stéphka durante il loro viaggio da Berlino a Parigi. Sono tre canzoni che a loro modo dicono qualcosa di Alba senza giorno.

A cosa stai lavorando ora?

Ho appena finito la ristesura di un romanzo che adesso è in viaggio nel grande mondo delle valutazioni editoriali. Un romanzo duro e strutturalmente diverso da Alba senza giorno e dai precedenti. È la storia di una crisi esistenziale che però il protagonista cerca di eludere, credendo così di poter vincere sulla vita e sul tempo che presenta il conto.

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Per saperne qualcosa di più sull’autore potete visitare il suo sito web e, se vi ha incuriosito quest’intervista, potete vedere il video della presentazione di Alba senza giorno a cura di Lib(r)eriamoci cliccando qui.

#consiglidilettura: a Milano, con una prospettiva differente, è ambientato Tutto male finché dura di un altro scrittore contemporaneo, Paolo Zardi, che ho intervistato qui.

Informazioni su Chiara Stival 115 Articoli
Chiara Stival è curatrice dei canali arte e cultura per Italiandirectory e copywriter per i contenuti web e social media di alcuni clienti del magazine. Promotrice di eventi artistici e rassegne letterarie, è stata editor della collana Quaderni di Indoasiatica per passione e formazione universitaria dedicata all’India. Il suo blog è chiarastival.com, potete visitare il suo profilo su Linkedin, Facebook e Instagram.