A chi appartiene la notte, romanzo di Patrick Fogli (Baldini+Castoldi, 2018), è un noir avvincente, per scrittura e struttura, fin dalle prime righe. Ciò che deve accadere, accade subito: tutti sanno chi è la vittima, nessuno conosce la verità. Mentre il fatto succede, le vite della maggior parte dei personaggi è mostrata dall’autore in uno scorrere fluido di vita quotidiana.
C’è un luogo: la Pietra di Bismantova. C’è il protagonista che muore: Filippo. C’è il protagonista che vive: Irene. Ci sono altri personaggi che ruotano attorno a l’uno o all’altra o a entrambi. Ci sono vite che si intrecciano. C’è il dubbio: è questo il motore immobile abilmente inserito da Fogli. La verità è tale solo nella misura in cui a tale verità si crede, ma la speranza può essere più persuasiva della credenza, la speranza si insinua e richiede la presa in considerazione di una verità diversa, una “verità sostenibile”. In questo quadro il tema onnipresente, come fosse l’unica cornice in grado di contenere la narrazione, è dunque la lotta tra bene e male, l’ennesimo duello tra verità e falsità, quella che vive il singolo, quella che sovrasta la società.
Sa a chi appartiene la notte e non c’era niente in tutte le storie che ha ascoltato e in tutte le lezioni e in tutti i libri che ha letto, che potesse prepararlo a una rivelazione come questa. Per la prima volta capisce che un segreto vero è una cosa che non puoi raccontare, ti condanna all’unicità e alla solitudine più di tutte le scelte diverse, le amicizie rifiutate, i pensieri e gli interessi controcorrente.
Poche righe -ovvero pochi secondi- dopo, Filippo cade dalla Pietra.
Lo si legge ma in realtà lo si vede. Si può immaginare il volto del ragazzo in copertina che viene inghiottito dal buio, oppure può apparire quell’anonimo e riconoscibilissimo volto de L’urlo di Munch, o qualsiasi altra immagine la mente possa pescare dal cassetto dei ricordi: quel qualcosa che sale dall’inconscio sarà osservato mentre sfoca, divorato dalla notte nera. Nell’opera del pittore norvegese, era il 1893, quel grido afono esprime -con straordinaria potenza- tutta l’angoscia di vivere dell’uomo moderno; nel romanzo di Fogli, Filippo che cade (scivola? si butta? è spinto?) rappresenta l’inquietudine della solitudine e della consapevolezza. Come nel domino, il fatto è una pedina e questo accadimento è l’inizio di una reazione a catena.
Perché Munch? August Strindberg lo definì “il pittore esoterico dell’amore, della gelosia, della morte e della tristezza”: anche in queste parole troviamo analogia con il testo; se i temi nominati da Strindberg sono quelli classici e a renderli munchiani è quella cromatura chiamata esoterismo, lo stesso processo, tradotto in tensione e mistero, incide nella narrazione dello scrittore bolognese. Parallelamente, però, l’attenzione del lettore è spinta verso la contestualizzazione nello scenario attuale, grazie alla sua capacità affabulatoria e al discorrere di ambienti e ambientazioni, di personaggi amati e personaggi difficili da perfezionare, di piccoli trucchi e meravigliosi incastri.
È proprio questa destrezza linguistica e intensità tematica la cifra dello scrittore, riconosciuta dalla giuria del premio Scerbanenco che nomina A chi appartiene la notte il romanzo vincitore dell’edizione 2018 del premio letterario italiano per il genere giallo. Questa la motivazione:
«Perché in un momento molto critico per l’indipendenza e la libertà di espressione del giornalismo italiano, l’autore sceglie come protagonista una giornalista d’inchiesta, impegnata a condurre la propria indagine in un contesto di non-verità, che genera e amplifica sospetti etici e morali tipici della nostra attualità. Inoltre perché il linguaggio accurato e di forte introspezione psicologica – sempre attento comunque ai più classici meccanismi del noir – e l’ambientazione in una realtà geografica-antropologica intensa, amara e suggestiva come l’Appennino reggiano, riescono a far lievitare il romanzo a una dimensione di denuncia che mette a nudo tutte le nostre colpe, pubbliche e private».
Intervista
C’è stato un momento preciso in cui hai avuto l’intuizione di questa storia? E quanto tempo ha richiesto poi la sua strutturazione e stesura?
Un momento c’è stato di sicuro, ma è difficile ricordarlo. Questa è una storia che mi ha girato in testa per molto tempo, cominciata con Filippo che cade dalla Pietra di notte, mentre sua madre lo sta guardando e non lo sa e continuata con Irene, un personaggio che ho custodito finché non ho sentito che era arrivato il suo momento. A quel punto c’erano già tutti i comprimari, le ambientazioni, c’era il romanzo. Scriverlo, in fondo, è stato breve, qualche mese.
A chi appartiene la notte è un giallo. Tenere alta la tensione del lettore per 476 pagine non è facile: qual è il segreto?
Come prima cosa divertirsi a scrivere e tentare di ragionare come lettore. Cercare di essere sempre un passo avanti, prevenire le ipotesi.
Tutto sommato, però, il segreto potrebbe essere più semplice: raccontare una storia in cui il lettore si perda, lasciandosi trasportare.
Ci sono due parole che ripeti all’inizio e che ricompaiono, quasi a dare un indizio al lettore, nel momento in cui tutti i tasselli disseminati nelle pagine precedenti cominceranno a trovare la loro collocazione: sotto e sopra. È una sorta di distinzione tra Male e Bene?
In qualche modo. È più una questione di punti di vista, la realtà cambia in funzione dell’ottica che usi per guardarla, dell’angolazione, dello sguardo.
Sotto può essere sopra e viceversa. Irene lo sa, il suo sotto e il suo sopra non sono identici, all’inizio e alla fine del romanzo. così come quello che crede vero oppure no.
Oltre il racconto in sé, il romanzo affronta molti temi, uno per esempio è la distinzione tra realtà e finzione, tra ciò che si vede, si vuole vedere e si può vedere, tra notizia e fake news. È qualcosa a cui stai attento, al di là della raccolta di informazioni per il romanzo?
Molto. Credo sia davvero la cifra della nostra epoca, è la domanda da cui parte tutta la storia. Per incidere sulla realtà, è meglio una storia vera o una bugia ben confezionata?
A cosa si vuole credere? A cosa si può credere? Che cosa conta la verità? Ammesso che conti ancora qualcosa.
“Hai vissuto in un monolocale e lo hai scambiato per uno stadio.” Frase straordinaria per mostrare uno degli effetti dei social network: questa cecità ha una scadenza oppure è irreversibile?
Stiamo vivendo una trasformazione sociale, dobbiamo prenderne atto. Stiamo capendo. Cambia il modo di intendere la socialità, i rapporti con le persone, la comunicazione, forse perfino il ragionamento.
Non si torna indietro, come non si torna indietro dalla trasformazione economica che si è compiuta. Comprendere il mondo che abbiamo intorno è più complesso e proprio per questo molto più importante.
Ci sono anche musica e libri in questo romanzo, sono i preferiti di Irene -la protagonista- oppure i tuoi?
Tutte e due le cose. Anche se, confesso, il mio gusto e quello di Irene si assomigliano molto.
E ora, cosa stai scrivendo?
Cosa ho già scritto, non sto scrivendo. A fine ottobre lo scoprirete…
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Ascolta la colonna sonora di A chi appartiene la notte a cura di Alberto Trentin.
Per gli appassionati del genere giallo consigliamo C’era il mare e Autostop per la notte.