The Power of The Dog. LEONE d’ARGENTO alla mostra del cinema di Venezia.
Premio per la migliore regia a Jane Campion
Per la fama del regista, che ricordiamo tutti in “Lezioni di piano”, il pubblico è accorso numeroso alla proiezione della 67enne Jane Campion, Palma d’Oro a Cannes, che si presenta oggi, alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia a distanza di 12 anni dall’ultimo lungometraggio.
Liberamente tratto da un racconto di Thomas Savage, pubblicato nel 1967, in realtà il produttore Roger Frappier aveva acquisito i diritti del romanzo nel 2021 fino a quando Campion ha accettato di scriverne e dirigerne il film nel 2019.
Nel 1990 la regista neozelandese vinse, sempre a Venezia, il Gran Premio della Giuria con “Un Angelo alla mia tavola”. Nel 1996 il premio Pasinetti con “Ritratto di Signora” e infine nel 1999 presentò “Holy Smoke”.
The power of the dog, ovvero il potere del cane, è una storia western, ambientata negli anni ’20 nel montana, quando i cow boy ritornano con il bestiame al loro ranch. Conducono le mandrie i due fratelli Burbank, allevatori molto diversi nel carattere e nell’aspetto: magro, rude, sporco, prepotente e violento appare Phil, Interpretato da Benedict Cumerbatch, mentre grasso, gentile, pulito, educato e signorile, sempre con la farfallina al collo, si nota George interpretato da Jesse Plemons.
Quest’ultimo finirà per sposare di nascosto la vedova locandiera alcoolizzata Rose, intepretata da Kirsten Dunst, tra l’invidia del fratello Phil, dove i cow boy si erano fermati in attesa di proseguire, con la mandria, verso il loro ranch.
Purtroppo il film non indaga nella psicologia dei personaggi: ad esempio come e perchè la donna anneghi nell’alcool i suoi pensieri.
Il figlio della locandiera, Peter (Kodi Smit-McPhee) esile ed effemminato, molto sensibile alle critiche che gli vengono rimosse dai cow boy, che si prendono gioco di lui mentre serve a tavola, finirà per fare amicizia con Phil il quale gli insegnerà anche a cavalcare.
Sembra che da parte del rude mandriano si evidenzi una componente omosessuale quando racconta al ragazzo che dormiva nudo insieme al suo maestro nello stesso sacco a pelo. Poi si avvicina al giovane tanto da sembrare che arrivi a baciarlo accarezzandolo.
La piega del film assumerà le sembianze del thriller quando il ragazzo, figlio della locandiera, che sembrava tanto dimesso, buono e bravo, ucciderà Phil, il suo mentore, attraverso il suo dono di pelle infetta.
“Salva l’anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane”. Sono parole tratte dalla Bibbia. Un salmo su cui si chiude la parabola di The Power of The Dog.
Le lunghissime scene purtroppo finiscono per annoiare. La vicenda viene raccontata con distacco senza riuscire a coinvolgere. Le musiche che accompagnano il film, ben lontane dagli arrangiamenti dei western di Morricone, sembrano composte per cercare l’anticonformismo, più consone ad un film di Dario Argento, stonano con la visione delle scene di cow boy e con gli esaltanti panorami montani.
Si salva infatti la fotografia e la visione dei paesaggi eccezionali, girati in Nuova Zelanda, che fanno da sfondo, valorizzati dal grande schermo.
“È una figura poetica complessa, non solo un cattivo”, ha dichiarato Cumberbatch parlando del suo personaggio Phil. “Per me la sua tossicità è il risultato di come è stato cresciuto. Emerge momento dopo momento, sono in grado di capirlo, non lo giudico. È oppresso, isolato nella sua situazione”.
“Sono una persona creativa e non ho fatto una percentuale dei generi del libro di Savage” – ha detto al Lido la Campion a chi le chiedeva come si fosse trovata a girare un film altamente maschile. “Ho sempre creduto in questo libro è non sono riuscito a dimenticarlo anche quando l’avevo finito. Ti entra nella psiche”.