La poesia è l’essenza della letteratura, misura il significato delle parole e il loro suono, questo -in sintesi estrema- appresi molti anni fa da Andrea Zanzotto, durante l’inaugurazione di un museo. Nel silenzio della sala, la voce esile ma definita del poeta mostrava come la poesia sia una sinfonia che evoca immagini e provoca quel rapimento estatico che il principio di ogni arte racchiude in sé. La poesia richiede un ascolto sensoriale oltre che emotivo, il lettore si specchia o trova affinità con i versi fino quasi ad appropriarsene. Una poesia si impara a memoria.
Quel ricordo che valorizza precisione ritmica tra nome e forma trova assonanza nella silloge poetica di Alberto Trentin. Vuoti d’ossa è una raccolta soppesata di parole, di sonorità e di suggestioni; le poesie oscillano tra suoni e silenzi, fino al limite tra conscio e inconscio, inteso quasi fosse una memoria dimenticata che parla autonomamente al sentire; come in un movimento ondoso tra la lingua e l’oltre, ossia un indefinito che il poeta indaga, Trentin scava nei territori impervi del significante per vedere che cosa c’è dopo il linguaggio, al di là dello spazio e del tempo, nell’eterna compresenza dei principi di ordine e di dispersione che regolano il mondo, nel continuo tentativo di resistenza alla perdita di senso dell’uomo, del paesaggio e dei giorni.
Trentin annuncia sottovoce, tra parentesi, che le sue poesie sono ‘ventiquattro movimenti sul tempo e successive palinodie’, prepara i lettori all’entrata nel pertugio dove lui, come nascosto dietro un velo, consegna le chiavi e rimane a guardare. Immediatamente si scorge la fonte da cui sgorga l’attenzione del poeta, uno spirito classico che cerca una soluzione nel presente, il bisogno di un animo sensibile di riconsegnare valore al conosciuto. Palinodia è il passepartout per leggere la partitura poetica, così come il dire e l’interpretare il già detto in diversa prospettiva è la cifra poetica dell’autore, celata nelle 48 sestine che compongono la raccolta.
La raffinatezza dello stile si ritrova nella struttura, semplice e discreta, della circolarità, come se servisse un intero giorno per compiere il viaggio in una direzione e un altro giorno per muoversi in senso inverso, un andamento che il lettore dimentica ma a cui ritorna nel cogliere parole usate come indizi oppure come sfumature tematiche. Il poeta mostra l’amore per la parola già nella ricercatezza dei termini che titolano le due parti del libro, nomi che portano il sentire poetico in una dimensione atemporale: la prima parte si intitola Palingenesi, “rinascita, rinnovamento”, e consiste di 24 sestine chiamate Movimenti, numerate da I a XXIV, la seconda muove a ritroso, da XXIV a I, ed è chiamata Apocatastasi, “restaurazione”, le cui 24 sestine sono titolate Palinodie.
Qual è il vero messaggio del poeta: ciò che mostra nei canti o nei controcanti? Se palinodia è una composizione poetica in cui viene smentito quanto era stato in precedenza affermato, cosa desidera indicare Trentin nel viaggio di ritorno? Come il poeta greco Stesicoro, attribuisce nuovo valore alla Palingenesi, giocando in maniera sibillina proprio col suo significato trascendente di “sempre nuovo”?
Ecco alcune sestine:
MOVIMENTO – VIII
Dove filtrano lame di sole
ogni ombra di casa pare
non avere sorella
né compagna. Siccome sole
non possono restare
uso il buio come catenella.
PALIDONIA – VIII
Il sogno è parodia
vera di voci avare
di memorie evase.
Qualunque uomo dia
retta, vi rende care
piane ombre delle case.
E ancora:
MOVIMENTO – XIX
Alle spalle l’estate
ancora soffia e ci fa dote
di un’afa che sfianca.
La mano alle falci pestate
fa un ultimo giro di cote.
Penso al tempo che manca.
PALINODIA – XIX
Il passato, una volta
zittite le urla amiche,
definisce il sentiero,
la vertigine tolta
al bisogno di Dike,
del suo magistero.
Tempo e spazio velati da un sentire gioioso e nostalgico al contempo:
MOVIMENTO – IV
Mentre approdo in queste isole
capisco il bene quasi per caso.
La gioia ha nel fondo
la natura delle bricole
che davanti al naso
danno senso al mondo.
PALIDONIA – IV
Vegas è tra le tante
In cui sono stato
La città più reale,
dove anche il mendicante
vuole dirsi avvocato
di un’arte innaturale.
Trentin si muove con abilità tra le coordinate dello spazio e del tempo perché riesce a tracciare l’indefinitezza nell’uno e nell’altro, si percepiscono luoghi noti ma vaghi, grazie all’uso ricercato del linguaggio e di significati allusivi, che provocano la sensazione di un tempo continuo, che agisce dal passato e al passato ritorna, attraversando un presente possibile, ipotetico e insignificante, insignificante non perché privo di significato ma per sua natura intrinseca, perché fugge e sfugge dal campo visivo, cosicché solo le parole possono fissare un momento che diventa il ‘sempre’ oppure il ‘mai’ del lettore stesso. Emerge con forza quel senso di impermanenza che caratterizza il pensiero del poeta, come spiega Simona Wright nella prefazione “lo stile di Trentin assottiglia il dettato sospingendo la parola verso un minimalismo testuale che scuote e turba l’esperienza sensuale”. Si è pervasi dalla suggestione di una poesia come sguardo permanente e permeante, che osserva cosa si nasconde in questo paesaggio che vediamo, viviamo, amiamo e talvolta disprezziamo.
Troviamo, in Vuoti d’ossa, tre citazioni, tracce del percorso formativo del poeta. La prima, in esergo all’intera raccolta, è di Goffredo Parise, Sant’Agostino apre Palingenesi mentre è Virgilio a inaugurare il ritorno -o la catarsi- di Apocatastasi. Nell’immaginare i motivi delle scelte di Trentin, rileviamo nuovamente la transitorietà dell’uomo e la trascendenza delle parole: sono queste a sopravvivere, non lo scrittore, il santo o il poeta. Le domande tratte da Il crematorio di Vienna di Parise anticipano la necessità del poeta -e di ognuno di noi- di interrogare il senso dell’esistenza, pena la perdita della nostra umanità, come se intrinseca alla domanda ci sia l’affermazione che un sonno continuo non è possibile, chiede all’uomo di distinguersi dalla pianta, perché ha il dovere di vivere, non di vegetare; le parole di Agostino, uomo e santo, filosofo e fedele, sono il simbolo della palingenesi del primo millennio e Trentin gli riconosce l’impareggiabile funzione di collegamento tra filosofia classica e cristianesimo, poiché con la sua pratica di vita mette in atto e in mostra l’inevitabile: non possiamo non confessarci, non interrogarci, non dire, ed è quello che accade in questa silloge poetica; infine, monito e invito di Virgilio, la dedizione al lavoro che non termina mai e che si rinnova, alludendo al fatto che lo scrittore torna sul proprio testo, lo interroga e lo matura, nella stessa misura in cui è progredito nel dare risposta alla propria cerca.
Sottotono o con versi altrui, l’autore suggerisce come la parola, scritta o recitata, è ciò che rimane, supera il tempo umano e si fa divina e, come una dea, provoca l’incanto e il superamento del limite.
Già nella sua prima raccolta di poesie, La voce dei padri, si avverte una tensione verso il tempo e il bisogno di continuità, di riconoscenza per gli affetti, il dolore e l’amore, antologia che mostra un poeta volutamente meno laconico, ancora legato alle origini. In Vuoti d’ossa Trentin amplifica la sua attenzione verso il mondo e il singolo, e lo fa riducendo le poesie a sestine, cura con sensibilità e stile poetico la sintesi del pensiero e del sentimento per affermare la sua caratterizzante cifra poetica, chè “solo se osi riesci / a segugiare il cane / che fa le orme che deve.”
Aveva preannunciato il suo cambiamento in essere chiudendo La voce dei padri con la poesia Metamorfosi:
Oltre la linea
dove un giorno ci ritroveremo,
o altrove,
il nostro comune silenzio
rapprenderà la voce.
Il sapere era
dire le cose, dire di tutto
fino a ripristinare il senso
oltre la deformazione.
Oltre la linea,
il punto chiude lo sguardo
e lascia che scorra indietro
altrove,
là dove ci ritroveremo.
La ricerca della qualità della poesia, in termini di significato, significante e sonorità, come nominato in apertura, si legge in Trentin grazie a una ricercata polisemia nel mostrare il divenire dell’uomo e del mondo, in una dinamica di temporalità e spazialità impermanente.
MOVIMENTO – II
Le stelle fisse sanno
misurare bene
quanto l’altrui volere
sia un affanno
che non tiene.
Desiderio di effemeridi sincere.
PALIDONIA – II
Rifiutare il fiato
estremo, la parola
di nuova assoluzione
per convertirsi al fato
e così farsi spola
di predestinazione.
A. Trentin, Vuoti d’ossa, Arcipelago itaca Edizioni di Danilo Mandolini, 2017.
A. Trentin, La voce dei padri, Samuele Editore, 2010.
Altri scritti.