
I racconti di Andrea Rigato ci portano sempre in una realtà trasformata. I fatti che gli accadono assumono una valenza simbolica, usa l’esperienza come pretesto per parlare di qualcos’altro, accadimenti che diventano riflessioni sulla vita, sulle relazioni e sull’amore. La sua è una scrittura che ricorda una gentilezza antica, cela una grande forza d’animo e si mostra nella delicatezza dei modi.
Buona lettura.
Virgole e millesimi
Può capitare di sentirsi amati anche dalle cose. Un libro, un’automobile, una parete di dolomia.
L’amore che proviamo rimbalza su ogni superficie e torna indietro, è un’evidenza che andrebbe spiegata nelle aule. Una proprietà fisica di riflessione delle onde.
Con le cose astratte questo principio dei riflessi risulta persino più evidente. Posso citare quale esempio l’amata scrittura.
Con me ha sempre avuto una pazienza infinita. Da anni mi osserva indulgente aspettando il suo momento, facendosi da parte di continuo. L’amore ha infatti questa capacità di stare defilato a osservare, di attendere in un angolo il suo tempo.
Fidandomi di questa considerazione elementare intuisco che il mio amore verso la scrittura sia contraccambiato. Ne sono certo, in realtà. Perché in amore le sensazioni son certezze.
A proposito di questo amore che arriva a noi finanche dalle cose riporto un episodio. Il fatto si svolse qualche anno fa, di buon mattino, durante un viaggio in autostrada.
Ero diretto a Carpi, il risveglio quel dì fu faticoso per una festicciola della sera precedente.
Mi misi in macchina con lo stomaco ancora ingarbugliato. Scelsi così per il tragitto autostradale un’inusuale corsia centrale.
Non corro mai in seconda corsia, va precisato, considerandola pericolosa. Bisogna avere occhi ovunque, è più rischioso che andare a palla in terza. La teoria magari è discutibile, ma ognuno ha le sue fisse.
Nell’occasione il mio torpore suggerì però una guida giudiziosa. Mi sistemai al centro esatto del traffico, con la sensazione pigra di farmi trasportare da un flusso di esistenze in movimento coordinato, una sorta di fascio di elettroni.
Di lì a minuti l’auto che mi precedeva ebbe uno scarto. Sbandò di colpo a sinistra con un moto innaturale, si immagini il drappeggio di un sipario che anziché scorrere si squarci all’improvviso.
La scena mi si piantò negli occhi gonfi di sonno come un colpo di mannaia.
Vidi in campo aperto la ruota di un camion gigantesco corrermi incontro saltellando. Un cagnolone omicida sfuggito al proprietario.
Nel nanosecondo successivo il mio cervello pose una domanda. Ti sembra questo un bel modo di morire?
Qualcosa dentro di me rispose no e lanciò un comando alle mani strette sul volante.
Le mani ignare obbedirono all’impulso. Senza un tale concatenamento chimico questa e altre storie non sarebbero mai state scritte.
Nel corso dei seguenti istanti appresi gli effetti di una sterzata a centoventi all’ora. Fu come se qualcuno avesse invitato a un valzer la mia Volvo V50. Piroettammo in due come ballerini innamorati, in un giro panoramico lentissimo.
La ruota assassina ci passò a fianco come un meteorite svagato, ne avvertii solo la scia.
Cambiava poco, in ogni caso. Conoscevo il finale di quel valzer. Mollai la stretta dal volante e aspettai l’ultima nota.
Meccaniche scandinave ripresero invece il controllo della situazione. Stanca di roteare la V50 lasciata libera fiutò l’aria e scodinzolò un pochetto, recuperando poi la bussola.
Mi ritrovai di nuovo all’interno di un veicolo che procedeva a centoventi all’ora in direzione Carpi.
Feci in tempo a intravedere un camion zoppo, fermo a bordo strada, e un omino col cellulare all’orecchio e una mano stampata sulla fronte. Ogni cosa all’improvviso ritornò quindi normale.
Lo vedi che la seconda corsia è pericolosa? Mi spostai in terza, accelerando un po’. Accesi la radio. Ascoltai notizie sportive. Feci entrare dal finestrino aria fresca al gusto idrocarburi.
È incredibile la normalità che si genera come conseguenza di miracolosi accadimenti.
L’intera giornata fu caratterizzata da vaghe ordinarietà. Soltanto mi vennero spesso in mente cose piccolissime come virgole e millesimi.
Ricordo che ebbi da subito l’impressione di star simpatico al mio destino.
Poi, verso sera, quando l’ora di coricarsi venne, la sensazione fu più nitida, e percepii in modo chiaro il suo amore nei miei riguardi.
Sentirsi accuditi dal proprio amorevole destino è confortante. È come camminare sempre a fianco di qualcuno che ti guida.
Forse in generale il destino ha un debole per gente come me.
Avere molti sogni e idee un po’ confuse sul futuro aiuta a farsi benvolere.
Anche scrivere probabilmente serve. Dividere le proprie storie con gli altri. Finché uno ha voglia di raccontarne meglio stia in salute, non è carino andarsene con storie da finire.
Poi in giro c’è qualcuno che al destino neanche crede.
Alcuni confidano soltanto nell’autodeterminazione.
Dicono che la vita sia programmazione consapevole di sé e raggiungimento di obiettivi categorici e volontà applicata e coraggiose scelte e rigorosa coerenza quotidiana finalizzata a costruzione progressiva di felicità.
Ma va là.
Schiviamo meteoriti ogni giorno. Destra o sinistra da decidere in un attimo.
A tenerci in piedi sono rimbalzi e altre cose piccolissime.
Alla fine poi contano i riflessi.
Ecco.
I riflessi.
I riflessi, soprattutto.
Si vive grazie a quelli.
Andrea Rigato ha scritto anche Le cose rotonde e Lacrime di terra, uno dei quattro testi che la giuria ha segnalato con menzione durante la premiazione del concorso Figuracce promoso dalla Scuola di Scrittura Il Portolano e Hdemo Network.