Oggigiorno esistono molte credenze e superstizioni, che noi tutti sentiamo spesso; sentire il suono di un’ambulanza porta male, come far cadere il sale, aprire l’ombrello in casa e molte altre… Ma non solo noi viviamo con queste opinioni… Nell’Antica Roma regnavano scaramanzie e superstizioni, alcune davvero particolari!
Rovesciare l’olio, il vino e l’acqua era un segno di malaugurio, anche incontrare per strada muli carichi di piante ornamentali per sepolcri oppure bucare un sacco di farina, trovare le travi di casa danneggiate e perfino sorprendere i corvi beccare una statua sacra di Dio.
Alcune sono molto simili alle nostre, infatti ci verrebbe da pensare che anche queste sono nostri antenati…
Questi sono solo alcuni esempi di superstizioni che ora magari potrebbero suscitarci una risata, ma che nell’antichità erano molto rispettate.
Giorno favorevole o sfavorevole?
Il concetto di buono o cattivo auspicio non era comunque limitato soltanto a gesti, o riti di vario genere. Il calendario romano era infatti diviso fra i giorni “favorevoli” (dies fasti) e “sfavorevoli” (dies nefasti), li stessi che noi chiamiamo di ‘giorni sfortunati’, come venerdì 17.
I primi rappresentavano momenti in cui compiere determinate attività, come l’amministrazione della giustizia, o il concludere un affare, fino al seminare oppure avventurarsi per un viaggio, mentre gli altri giorni, quelli infausti, era sconsigliato svolgere alcune attività e affari importanti.
None, idi e secondo giorno del mese erano tutti giorni in cui non si potevano prendere certe decisioni ed erano infauste anche le date di avvenimenti particolarmente negativi o disastrosi: il 18 Luglio, sconfitta romana ad opera dei galli nel 387 a.C., era segnata sul calendario come “catastrofe gallica”; così come noi ricordiamo date importanti, ad esempio l’attentato alle torri gemelle o la Giornata della Memoria, essi le consideravano date sfortunate.
Stregoneria e Magia
A decidere queste date non erano persone sconosciute, bensì erano sacerdoti e uomini di chiesa che si basavano sulla religione e sugli ideali.
I romani non erano solo superstiziosi e scaramantici, ma credevano anche nella magia nera, stregoneria e arti oscure: erano usati gli amuleti e i talismani, che avevano capacità di buon auspicio, così come gli incantesimi malefici erano molto diffusi.
Il concetto di magia era preso seriamente, tale da essere sanzionato severamente dalle leggi romane, ma nonostante questo diverse persone esercitavano malocchi, oppure formule e scongiuri di vario tipo.
La vera e propria parola ‘magus’ ovvero colui che pratica riti e arti magiche, iniziò a diffondersi intorno al primo secolo a.C., ma si trattava per lo più di nozioni magiche, religiose, mediche, che influivano a Roma.
Inizia così la caccia alle streghe
Questi maghi e streghe si facevano pagare in base al tipo di servizio, un po’ come le cartomanti al giorno d’oggi; non erano ben viste, soprattutto dalle autorità e dalle persone di un certo livello sociale.
Piano piano i maghi e le streghe si diffusero sempre di più, tanto che dall’età imperiale di Tiberio in poi, si parlò di pena di morte per chi veniva accusato o sorpreso a praticare arti magiche. Da qui infatti iniziò la ‘caccia alle streghe’ come la conosciamo noi.
Qui sotto è riportata la traduzione in italiano di una citazione latina.
Sappiamo che i Romani furono imbevuti di superstizione. Credevano infatti che il futuro fosse predetto da coloro che esaminavano le viscere delle vittime e che si chiamavano aruspici. Pensavano anche che il volere degli dei fosse manifestato dal volo degli uccelli, e che la vittoria o la sconfitta degli eserciti fosse predetta dalla fame dei giovanI animali sacri. Così Virgilio afferma che la morte di Cesare era stata annunciata da molti prodigi; narra infatti che il sole fu oscurato da una fosca caligine, che le Alpi tremarono per insoliti movimenti, che gli animali parlarono, che dai pozzi fuoriuscisse sangue. E tutte queste cose, orribili a vedersi, infondevano negli animi un gelido terrore
Foto di Nick Fewings