Qualcuno voleva qualcosa da te | Racconto di Dianella Bardelli

Qualcuno voleva qualcosa da te di Dianella Bardelli

Il racconto di Dianella Bardelli affronta il tema del ricordo e della personale proiezione di un ricordo, oltre che delle numerose possibilità che ci paiono ma poi non si realizzano. Buona lettura.

Qualcuno voleva qualcosa da te

Ho un ricordo vivissimo del tempo in cui ci siamo conosciute. Come fosse ieri, anzi come fosse un film che ho visto. Un bel film. La sceneggiatura è tutta nella mia mente. Ho un bellissimo modo involontario (semplicemente capita) di vivere i ricordi. Come un film appunto.

Ci sei tu, bellissima, strana, misteriosa che arrivi nel nostro piccolo mondo di provincia. Qui c’è qualcuno che vuole qualcosa da te. Io sono solo il sottofondo di tutta la storia, ma proprio per questo la ricordo così bene. La guardavo da fuori. Tu per me eri il mito in tutto: bellezza, libertà, ricchezza. Tutto quello che io non avevo. Soprattutto la libertà. Sapessi quante occasioni perse in quegli
anni per dare una svolta alla mia vita. Sempre sceglievo il conosciuto allo sconosciuto. In Spagna una giornalista mi chiese di seguirla nei suoi viaggi; dissi di no per stare con qualcuno. Ma poi era solo paura. Paura del cambiamento. Poi conobbi una coppia di attori famosi. Anche loro avrei potuto seguire. Poi ho conosciuto te. Anche te avrei potuto seguire. Ma eri circondata da troppi pretendenti. Tutti volevano qualcosa da te.

Comunque, la prima scena del mio film è il ricordo di te in una trattoria. Era una trattoria per studenti e gente che lavorava nella zona. Sai quelle trattorie dove si potevano prendere le mezze porzioni. Non so se ce n’erano di questo tipo a Torino. Da noi sì, allora da noi tutto avveniva così semplicemente. Ma questo è un altro discorso. In questa trattoria c’era questo nostro gruppo, ma io ero solo
la ragazza di uno di loro. Ero estranea a quello che questo gruppo faceva, film, fotografie, anche se facevo finta di non esserlo. Allora facevo sempre finta di essere un’altra da quello che ero. Questo perché così nascondevo la mia paura. Di cosa? Di tutto. Ma anche questo è un altro discorso. Così si era in questa trattoria e gli altri del gruppo ti stavano addosso, volevano qualcosa da te. Tu avevi quell’aria distaccata che ti ho sempre visto in quei giorni. E dicesti una cosa tipo: avverto le vostre contraddizioni. Ma doveva essere una frase più
lunga. Questa fu la prima cosa che mi colpì di te.

Poi si andò a casa mia. Tu saresti stata da me in quei giorni. Lì allora ci stava spesso anche Franco, il mio ragazzo, che era uno di quelli che volevano qualcosa da te. Era per questo che eri venuta da noi in provincia. Per parlare di un qualche progetto. Ma non ricordo quale. Ma forse non lo sapevo neppure. Vivevo in un mondo tutto mio fatto di totale non stima di me e così non facevo mai domande per paura di sbagliare, che fossero considerate domande cretine.

Così non so, non ricordo di quale progetto si trattasse. A casa mia tu dormivi in una stanza delle due che c’erano. Mi pare su un materasso messo per terra. Io stavo con Franco nell’altra stanza. Ricordo che pensai che ti sarebbe scocciato saperci in due, magari a fare l’amore e tu da sola nel buio su un materasso. Non ci dormii la notte a pensare a questo. Infatti il mattino dopo mi dicesti che avevi trovato un’altra casa dove stare. Ricordo che ti guardai preparare la tua roba. Stava in una sacca blu. Nel chiuderla ti si ruppe un anello di ambra color verde chiaro. Ti si spaccò mentre davi un colpo col pugno per fare entrare la roba nella sacca e chiudere la cerniera. Poi ti guardai mentre ti truccavi davanti allo specchio del mio minuscolo bagno. Invidiavo tutto di te, i tuoi jeans, i tuoi capelli, tutto.

Andasti a star da una ragazza che poi rividi l’unica volta che venni a trovarti a Torino.

Che storia questa.

La tua casa intanto. Magari stai ancora lì. Grande, un grande soggiorno e il letto nel soppalco. Tu, la dea, stavi sempre in quel letto. Almeno durante quell’unico giorno che sono stata da te. Me l’ero immaginato diversamente il nostro incontro. Noi che si chiacchierava e ci si conosceva. Mi avevi mandato un biglietto in cui con linguaggio poetico mi chiedevi se venivo a trovarti.

Io corsi.

Che tu mi cercassi, che cosa meravigliosa! Invece la tua casa era piena di gente. Che voleva qualcosa da te. Io non sapevo che fare, che dire. Nessuno mi dava la minima attenzione. Arrivava gente e se ne andava. Tu, la dea, lassù sul soppalco nel letto. Non sapendo che dire o che fare venni su per parlare un po’ con te. Ma non fu possibile. Troppa gente “prima di me” voleva parlarti e stare lì con te sul letto. Poi c’ho un buco nei ricordi. Forse uscimmo. O tu te ne andasti. So solo che dalla mia borsa sparirono i soldi. Me la ricordo la borsa. Di
camoscio con una frangia sul davanti, senza chiusura. I soldi mi servivano per il treno. Tornare finalmente a casa. Via da quella situazione. Chissà perché mi avevi fatto venire lì. Praticamente non ci parlammo mai. Qualcuno tra tutta quella gente che andava e veniva mi aveva portato via i soldi. Non ci feci caso.

La ragazza che ti aveva ospitato da noi in provincia e che era lì anche lei mi prestò i soldi per il biglietto del treno. Parlammo un po’. Mi disse che non stavi bene. Psicologicamente, intendo. Le chiesi se potevo fare qualcosa. Lei mi disse di no, naturalmente. Ebbi l’impressione che anche lei volesse qualcosa da te. E quindi se me ne andavo era meglio.

In treno ripensai all’accaduto. A te. Alla nostra amicizia che non era potuta nascere.

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Dianella Bardelli ha pubblicato la raccolta di poesie Vado a caccia di sguardi (2008, editore Raffaelli di Rimini); i romanzi Vicini ma da lontano (2009, Giraldi di Bologna), I pesci altruisti rinascono bambini (2010, Giraldi), Il Bardo psichedelico di Neal ispirato alla vita e alla morte dell’eroe beat Neal Cassady (2011, edizioni Vololibero), Verso Kathmandu alla ricerca della felicità (2014, Ouverture) e 1968 (2019, edizioni parallelo45).

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