In Trentino i diamanti si producono dentro un bicchier d’acqua e con un laser. La “ricetta” è stata messa a punto da un team di ricercatori dell’Università di Trento (Laboratorio IdEA del Dipartimento di Fisica) e dal Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia (CNCS IIT di Rovereto) ed è stata pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista Scientific Reports (gruppo editoriale Nature). Attraverso impulsi molto intensi di luce ultravioletta i ricercatori sono riusciti a convertire della grafite contenuta in un bicchiere d’acqua in diamanti di dimensione nanometrica.
Un’originale tecnica sperimentale che apre alla possibilità di usare i diamanti di dimensioni tanto piccole per applicazioni di diagnostica medica con uso di tecnologie quantistiche. I diamanti, come sensori estremamente sensibili, sono in grado di rilevare eventuali anomalie dal punto di vista cellulare nel sangue. Composti di carbonio – materiale compatibile con l’organismo e quindi non pericoloso – i diamanti possono dunque funzionare come tante piccole “antenne” per diagnosticare ad esempio molte malattie o la presenza di metalli pesanti nell’organismo.
Delle proprietà dei nanodiamanti si parla da tempo. Per le loro caratteristiche fisiche e chimiche – estrema durezza, elevato indice di dispersione ottica, altissima conducibilità termica, grande resistenza agli agenti chimici e alla frizione e bassissimo coefficiente di dilatazione termica – sono infatti oggetto di studio interessanti per le possibili applicazioni ad esempio come fotocatalizzatori nei processi di pulizia delle acque o per produrre idrogeno. Finora però le applicazioni e gli investimenti in ambito industriale sono stati frenati dalla difficoltà di ottenerli partendo da esemplari più grandi tagliati in pezzi sempre più piccoli.
La scoperta del team trentino ribalta la prospettiva e descrive un nuovo modello termodinamico che permette la sintesi di nanodimamanti partendo da acqua comune. «La polvere di nanodiamanti – spiega Antonio Miotello, responsabile del Laboratorio IdEA dell’Università di Trento – viene prodotta a temperatura ambiente e con una pressione atmosferica standard attraverso il laser che agisce trasformando la grafite presente nell’acqua. L’ambiente acqueo prodotto intrappola le molecole e favorisce così la formazione e lo sviluppo dei nuclei di diamanti. Il metodo che abbiamo sviluppato è facilmente replicabile: non richiede infatti specifiche condizioni termiche o chimiche per rendere possibile il processo di trasformazione della grafite». Alla scoperta ha lavorato un team di ricerca forte di competenze diverse con i ricercatori Federico Gorrini, Massimo Cazzanelli, Nicola Bazzanella, Raju Edla e Carla Dorigoni, che hanno collaborato con un gruppo di colleghi di Pisa.
La scoperta segna un risultato importante anche sotto il profilo della collaborazione tra istituzioni di ricerca e gruppi che operano in ambiti diversi. «Il Trentino – commenta Angelo Bifone, direttore del Centro di Neuroscienze e Sistemi cognitivi dell’IIT a Rovereto – dimostra ancora una volta di essere all’avanguardia nel campo delle tecnologie avanzate attraverso una intelligente gestione delle sinergie della ricerca locale e con una rete di laboratori che già sono in grado di produrre risultati di rilievo internazionale».
Lo studio è disponibile in open access sul sito della rivista Scientific Reports.