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Predestinazione è un concetto affascinante; lo è a tal punto che il mago Gaston Nikolàevič Lilin lo ha posto al centro del suo ultimo spettacolo. Tonini, come l’illusionista protagonista del racconto, gioca tra fatti e suggestioni per ironizzare su una delle domande più in voga negli ultimi secoli: il destino esiste? Lo scorrere della vita è segnato dal caso, sia esso buono o cattivo, oppure l’uomo può intervenire o interagire con i fatti della vita?
Se c’è un destino c’è anche una predestinazione, quindi nulla c’è da temere se si è convinti che la propria fine non è ancora giunta. Che sia proprio così? Ce lo racconta, in stile pulp, Diego Tonini. Buona lettura.
Predestinazione
Avevamo cenato assieme, io e Gaston Nikolàevič Lilin, e ci eravamo attardati a discutere di predestinazione davanti a una bottiglia di cognac.
«Immagina, amico mio» esordì il prestigiatore sollevando il balloon, «che per qualche scherzo del destino quest’ottimo liquore sia stato avvelenato allo scopo di uccidere qualcuno, però la bottiglia sia stata scambiata e servita al nostro tavolo anziché alla vittima designata. Come definiresti tale avvenimento?»
«Un gran colpo di sfortuna!» esclamai, appoggiando il mio bicchiere e guardandolo con un certo sospetto.
Gaston proruppe in una delle sue sonore risate. «Amico mio, posso assicurarti che ho aperto personalmente la bottiglia e che nessuno l’ha manomessa» rispose e per dimostrarlo ingoiò una generosa sorsata, «ma, tornando alla nostra ipotesi, devo dire che ti sbagli: non si tratta di malasorte né di casualità, ma di predestinazione. Il caso non esiste, tutto è scritto e, se è giunta la nostra ora, non c’è niente che possiamo fare per evitarlo.»
Scossi la testa e bevvi anch’io dal mio bicchiere. «È una ben triste prospettiva, la tua» mormorai.
«Tutt’altro» continuò lui, «se invece non è giunto il nostro momento, infatti, è altrettanto impossibile per noi morire, qualunque cosa accada. Ed è proprio ciò che dimostrerò nel mio spettacolo di domani.»
«Non farai nulla di pericoloso, spero.»
Strizzò l’occhio e sorrise. «Non per me, caro amico. Buonanotte.»
Quelle furono le ultime parole che mi rivolse da vivo.
Il teatro era gremito, le luci basse, il mormorio del pubblico assordante.
L’occhio di bue illuminò il palco dove Gaston stava immobile, pantaloni neri e torso scoperto, le mani dietro la schiena e il mento posato sul petto. Calò il silenzio e, dopo qualche istante, il mago sollevò lo sguardo verso la platea.
«Signore e signori, oggi assisterete a un evento di portata storica» esclamò, «con l’esperimento che mi accingo a compiere dimostrerò al di fuori di ogni dubbio che il destino di ognuno di noi è già scritto e non può essere cambiato.»
L’uditorio rumoreggiò, si sollevarono fischi e insulti, qualcuno si alzò in piedi minacciando Gaston che però restava immobile al centro del palco.
Non appena il frastuono cessò disse: «Abbiate la pazienza di seguirmi nel mio esperimento, presto tutto vi sarà chiaro, come lo è per me che sono così sicuro della mia teoria da mettere in gioco la mia stessa vita.»
Allargò le braccia, i palmi rivolti alla platea. Il rumore della porta che si apriva fece voltare all’indietro gli spettatori: due inservienti entrarono spingendo lungo il corridoio una specie di alta carriola, sulla cui sommità era montata una carabina. Si fermarono ai piedi del palco, puntando l’arma in direzione di Gaston. Il mago si scansò mentre un manichino faceva il suo ingresso da dietro le quinte.
«Ora, per favore, vi chiedo di mantenere il più rigoroso silenzio» disse e, quando ogni rumore si fu placato, fece cenno a uno degli assistenti che girò un interruttore. Attese alcuni istanti e batté le mani.
Una vampata, un boato, il torace del manichino dilaniato dal proiettile, una nube azzurra e acre che aleggiava nella sala. Le persone si alzarono e minacciarono Gaston, qualcuno svenne, alcuni tentarono di fuggire e si accalcarono verso le porte, mentre il mago osservava immobile dal centro del palco. Il personale del teatro faticò a riportare l’ordine ma in breve tempo la maggior parte degli spettatori aveva ripreso il suo posto.
Gaston si sistemò al posto del manichino.
«Ora che vi ho dimostrato che il meccanismo di sparo è azionato dal rumore possiamo cominciare l’esperimento: uno dei miei assistenti sta ricaricando il fucile, invito chiunque lo desideri a verificare che non si tratta di una cartuccia a salve.» Nessuno si alzò.
Gaston fece un inchino. «Vi prego nuovamente di rimanere in silenzio, quando allargherò le braccia il meccanismo verrà attivato e qualsiasi rumore più forte di uno schioccare le dita farà sparare il fucile.» Ci furono mormorii e sguardi perplessi.
«Ma» continuò il mago, «come affermai poc’anzi, so che la mia ora non è ancora giunta, pertanto sono sicuro che qualche evento impedirà al proiettile di uccidermi» l’occhio di bue passò a illuminare la platea, «perché neppure le volontà di tutti voi riuniti possono alcunché contro la forza del destino.»
Chiuse gli occhi e allargò le braccia, si sentì il clic dell’interruttore che scattava e poi più niente per cinque, estenuanti minuti; poi un battito di mani echeggiò nel teatro e subito dopo il colpo esplose.
Gaston Nikolàevič Lilin fu colpito in pieno petto, il suo cuore si spappolò e lui morì ancor prima di cadere a terra. La polizia ci trattenne nel teatro per ore, raccogliendo testimonianze e ripetendo le stesse domande fino alla noia; l’uomo che aveva battuto le mani non fu identificato. Il corpo di Gaston venne coperto col suo mantello di scena ma lasciato sul palco, in attesa del nulla osta del medico legale che tardava.
Bevvi un cognac al bar del teatro, e poi un altro, mentre il commissario in persona mi interrogava, credeva si trattasse di un bizzarramente architettato suicidio.
«Scelta in linea col personaggio, no?» arguì.
«Certo, Gaston era un uomo fuori dal comune» risposi, «ma era anche un uomo felice, non aveva nessuno motivo per togliersi la vita, si tratta purtroppo di un tragico incidente, un numero di magia non riuscito.» Sapevo di mentire, il mio amico credeva veramente che la forza del destino avrebbe fermato la pallottola ma non avevo il coraggio di confessarlo.
In considerazione del mio stato d’animo mi fu permesso di andare e in considerazione del mio stato fisico venni accompagnato a casa da un poliziotto. Bevvi altri due cognac prima di coricarmi.
Venni svegliato da un furioso picchiare alla porta, era presto, iniziava appena ad albeggiare. Pensando fosse ancora la polizia, corsi ad aprire e di fronte a me trovai Gaston Nikolàevič Lilin, avvolto nel suo mantello di scena, col volto pallido ed emaciato.
«Gaston, sei vivo?» esclamai.
«Non credo» rispose e scostò il mantello, mostrandomi l’orrendo foro nel petto da cui colava ancora il sangue.
Arretrai inorridito.
«Mi sono sbagliato, Franz» sussurrò, «l’esperimento è fallito, non c’è nessun destino.»
Avrei voluto rispondergli che lo sapevo, che era stato un folle e aveva buttato la sua vita per una stupida idea, ma il suo sguardo vuoto e triste mi bloccò.
«Forse ti sei sbagliato, forse è davvero tutto scritto, ma era davvero giunta la tua ora» dissi.
Il suo sguardo si illuminò e le labbra nere si piegarono in un sorriso. «Lo credi davvero?»
«Sì» mentii.
«Sei stato un buon amico» mormorò e fece per abbracciarmi, ma si arrestò. Mi strinse invece la mano con la sua, fredda e inerte.
«Buona giornata» disse, e si allontanò.
Quelle furono le ultime parole che mi rivolse da morto.
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Altri racconti di Diego Tonini: Flusso di autocoscienza in retromarcia e la serie dedicata ai detti popolari come Il lupo perde il pelo ma non il vizio e altri da cercare nel magazine o nel suo blog.