Peggy Guggenheim in photographs

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Nessun dubbio per Živa Kraus: l’omaggio a Peggy Guggenheim è l’unica scelta possibile, per questo 2016, che vede numerose iniziative veneziane dedicate alla ricorrenza per il Cinquecentenario del Ghetto.

Questa scelta, apparentemente, potrebbe risultare semplice, perfino scontata: la galleria d’arte di Živa Kraus è proprio in Campo del Ghetto Nuovo, e Peggy Guggenheim, oltre ad essere ebrea, è uno dei nomi che, trattando di arte contemporanea, si associano a Venezia. Infatti, Palazzo Venier dei Leoni è stato l’ultima casa in cui Peggy si trasferì, quel progetto che è diventato un testamento, il luogo in cui questa incredibile mecenate ha considerato di poter vivere gli ultimi anni di una vita in continuo movimento.

Cosa rende, allora, originale l’idea della signora Kraus? Perché “Peggy Guggenheim in Photographs”, dal 10 giugno al 27 novembre 2016, è una mostra imperdibile?

Molte sono le ragioni, sintetizzabili in questa definizione: prospettiva fotografica.
Due parole che collimano nello spazio intimo e suggestivo di Ikona Gallery, perché le 21 fotografie selezionate dalla curatrice celebrano in modo essenziale il percorso della donna che maggiormente ha influenzato lo sviluppo e la diffusione dell’arte contemporanea nella seconda metà del XX secolo. Ecco allora che sia quelle avanguardie, tanto amate da Peggy, sia gli artisti, conoscenti, amici o amanti, non sono più al centro dell’attenzione dello spettatore (come quando si trova di fronte alle opere che lei ha acquistato, salvato, commissionato, e che sono esposte al museo) ma diventano uno sfondo o una cornice.

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Hermann Landshoff, Peggy Guggenheim e un gruppo di artisti in esilio, New York, 1942.

Nella fotografia è lei, solo lei, il focus per l’obiettivo: dalla posa affiorano la sua personalità, la sua determinazione e, a volte, una sorta di distacco dalla vita. L’immagine documenta l’inesorabile forza che permane nel tempo, dal 1924 al 1974, e quel filo conduttore comune agli scatti di alcuni dei più grandi nomi della fotografia del Novecento, si chiama semplicemente Peggy.

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Berenice Abbott, Peggy Guggenheim, Francia, 1926.

Guardando le fotografie del periodo 1940-1948, abbiamo avuto l’impressione che per comprenderle dovessimo entrare nell’approccio di quell’espressionismo astratto che lei, come una paladina, aveva voluto esporre fin dal 1943 a New York, per poi farlo conoscere in Europa: le figure soggetto dell’immagine si con-fondono con lo sfondo, si contestualizzano e poi il soggetto riappare quasi astratto nella sua forma. Differenti sono le fotografie successive agli anni Cinquanta, si liberano dal contesto culturale e la mostrano come un’icona: Peggy emerge dall’immagine per affermare ciò che è diventata. Il ritratto viene così concepito come strumento di comunicazione, entra nei media e mostra un nuovo ambiente: quel contesto artistico della seconda metà del XX secolo, in cui Peggy interverrà con il suo stile.

Siamo convinti che la peculiarità della mostra sia unicamente dovuta all’esperienza e alla conoscenza di Živa Kraus, titolare dal 1979 di IKONA VENEZIA International School of Photography. Lei, che nel 1973 lavorò per Peggy Guggenheim; lei che vide entrare Peggy nella sua galleria, allora a Ponte San Moisè, perché voleva vedere il suo ritratto con Herbert Read del 1939, esposta dalla Kraus per la retrospettiva dedicata a Gisèle Freund; lei che, come Peggy, non ha più saputo lasciare Venezia.

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Una giovanissima Živa Kraus con Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, 1966.

La mostra si apre con due fotografie di Peggy all’età di 26 e 28 anni, rispettivamente di Man Ray e Berenice Abbott, che esaltano le sue origini, la sua classe e il suo amore per i cani, animali che le faranno compagnia per tutta la vita (ritornano anche in foto successive). Ma il vero inizio dell’omaggio alla Guggenheim è lo scatto della Freund, unico a colori, che ritrae Peggy seduta sul sofà affianco a Herbert Read, uno dei maggiori critici d’arte inglesi, mentre discutono il progetto per l’apertura di un museo a Londra; alle loro spalle il quadro di Yves Tanguy che lei aveva acquistato nel 1938, ora parte della collezione permanente di Palazzo Venier. L’interesse di Read per l’arte moderna e contemporanea, unito all’ampiezza culturale di quell’uomo (che lo vede anche come amministratore della Tate Gallery), è fondamentale per Peggy e per le intuizioni artistiche che la porteranno all’inaugurazione delle successive gallerie-museo.

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Gisèle Freund, Herbert Read e Peggy Guggenheim, Londra, giugno 1939.

Seguono 11 immagini che segnano gli spostamenti di questa donna da Londra a Parigi, fino a New York nella sua Art of This Century, nell’allestimento progettato da Frederick Kiesler, con le fotografie di Rogi André, Hermann Landshoff, Berenice Abbott, George Karger, André Kertész e Dino Jarach; quest’ultimo la mostra a Venezia nel 1948, quando Peggy viene invitata ad esporre la sua collezione di arte europea e americana alla XXIV Biennale di Venezia. La foto di Ida Kar del 1951 celebra Peggy, come una musa, sugli scalini di Palazzo Venier dei Leoni, che era stato acquistato nel 1949, quella sua nuova casa museo che dal ’51 aprirà al pubblico affinché possa fruire della sua collezione privata.Le ultime sei foto (autore sconosciuto – anni ‘50, Roloff Beny – 1958, Nino Migliori – 1958, Gianni Berengo Gardin – 1958, Stefan Moses – 1974) ci ricordano Peggy Guggenheim nei suoi sguardi, a volte austeri, oppure sorridenti, come per un commiato, durante la sua abituale uscita pomeridiana in gondola, con gli inseparabili Lhasa-Apso e Shih-Tzu.

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Robert E. Mates, Peggy al Solomon R. Guggenheim Museum New York, 1969.

La brillante acutezza di Živa Kraus conduce l’occhio del visitatore all’immagine di chiusura di questa esposizione: è la fotografia di Robert E. Mates, fotografo del Solomon R. Guggenheim Museum. A 75 anni Peggy volò a NY, assieme alla sua collezione, per esporre le opere nel famoso edificio di Frank Lloyd Wright; la foto “ruba” un momento di solitudine mentre Peggy guarda dall’alto quell’insieme di opere d’arte, brandelli di vita, che poi donerà, nel 1976, alla Fondazione Solomon R. Guggenheim: Peggy centrale verticalità tra linee orizzontali e parallele.

Com’è vero che uno degli scopi della fotografia è quelle di documentare la realtà, altrettanto vero è che le immagini scelte per “Peggy Guggenheim in Photographs” testimoniano i passaggi cruciali della vita di questa donna, gli anni chiave, la sua spiccata personalità e l’utilizzo che lei ha voluto fare della sua ricchezza: onorare l’arte del suo tempo.

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Ikona Gallery, Campo del Ghetto Nuovo 2909, Venezia.
Informazioni su Chiara Stival 115 Articoli
Chiara Stival è curatrice dei canali arte e cultura per Italiandirectory e copywriter per i contenuti web e social media di alcuni clienti del magazine. Promotrice di eventi artistici e rassegne letterarie, è stata editor della collana Quaderni di Indoasiatica per passione e formazione universitaria dedicata all’India. Il suo blog è chiarastival.com, potete visitare il suo profilo su Linkedin, Facebook e Instagram.