
Il paradiso del pavone, un film italiano, viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 78, il quale parla della nostra vita per metafore.
Scritto e diretto da Laura Dispari, coadiuvata nella scrittura da Silvana Tamma.
L’abilità della regista 44enne, aveva già dato prova del suo talento in Vergine giurata nel 2015 e Figlia mia del 2018, vincendo il David di Donatello con Pressing nel 2010.
Il film è suffragato dalla musica inquietante composta da Nando di Cosimo che accentua e prelude ad un dramma futuro.
La 73enne Dominique Sanda, che tutti conosciamo per le numerose interpretazioni in film famosi come Novecento e Il conformista di Bertolucci, Il Giardino dei Finzi Contini di De sica, I fiumi di porpora di Kassovitz, Garage Olimpo di Bechise, e moltissimi altri, si presenta oggi nei panni di Nena, un’anziana padrona di casa che riunisce tutta la famiglia per festeggiare il suo compleanno. Un pranzo, che in effetti, non si realizzerà mai, raccontato in un film con la sensibilità e la drammaticità che ci riporta ai grandi temi dell’introspezione psicologica in merito ai drammi esistenziali.
Nena vuole manifestarsi così com’è senza un filo di trucco, sia durante le sue apparizioni alla sede della Mostra del Cinema, sia nella sua interpretazione nel film, dimostrando sé stessa e tutta la sua età.
Una vicenda costruita intorno a dei simboli, difficile da apprezzare se non si riesce ad osservare cosa si nasconda dietro il sipario.
Si intravvedono molti tra gli elementi che contraddistinguono la nostra società contemporanea.
Di sapore buñueliana la vicenda punta ad evidenziare il disagio che ci attanaglia nella vita quotidiana nel momento in cui, un fatto traumatico, del tutto inaspettato, ci porta a riflettere sulla verità dei propri sentimenti e sul profondo di ciò che resta e di ciò che invece scompare per sempre.
LA TRAMA
Un pavone, simbolo di bellezza e vanità, è capace di distruggere degli oggetti preziosi, aprendo lo splendore della sua coda, come succede nella casa di Nena. L’uccello, accudito ed amato come un figlio, incapace di volare, si suicida per amore di una colomba, seguendola giù dal terrazzo, mettendo in crisi un’intera famiglia.
Interessante la metafora, della ricerca della salvezza per il pavone ferito a morte per amore, con la chiamata di un veterinario che non arriverà mai.
<Nena (Dominique Sanda)si trova sposata da 50 anni con Umberto (Carlo Cerciello), complice di un amore con una domestica, Lucia (Maddalena Crippa), triste e sofferente, in un ménage a tre che dura da quarant’anni. Nessuno della famiglia sembra sospettare nulla fino alla scoperta, nel finale del film, quando la figlia Caterina (Maya Sansa), con grande stupore, vedrà la madre baciarsi con Lucia.
Vito (Leonardo Lidi), l’altro figlio di Nena, prossimo a nozze con Adelina (Alba Rohrwacher), si recano entrambi in casa della madre per la festa del suo compleanno, insieme alla figlioletta Alma (Carolina Michelangeli) in compagnia dell’ amato pavone. La bimba sarà tanto disperata da accentuare il dramma della vicenda: viene salvata in extremis, volendo seguire la sorte del pavone gettandosi dal balcone.
Viene salvata non già dalla madre – quasi si volesse manifestare una mancanza d’amore del genitore – ma dalla zia Caterina. Quest’ultima, separata dal marito Manfredi (Fabrizio Ferracane), vuole tenere nascosta la separazione alla famiglia, mentre egli resta volentieri a pranzo lasciando ad aspettare in macchina la sua attuale fidanzata Joana (Tihana Lazović).
La figura ipocrita dell’ex marito Manfredi si manifesta corteggiando, sempre di nascosto, con sotterfugi, l’ex moglie, tanto da finire entrambi abbracciati a baciarsi nascondendole la realtà che Joana, la sua attuale amante, era in attesa di un figlio.
La stessa Joana, occultando la sua vera identità, di compagna di Manfredi, si reca in casa aiutando nel trasporto del pavone caduto in strada, ferito a morte, mentre aspettava il fidanzato in macchina.
E’ la festa della vita che si rovina a ragione di un dramma che per molti può apparire come un fatto insignificante, come la morte di un uccello, al quale l’umanità sembra dover fare i conti nella nostra percezione ed esperienza personale ed umana. Infatti, a completare il quadro famigliare si nota Grazia (Ludovica Alvazzi Del Frate), figlia della domestica Lucia, quest’ultima in preda ad una non identificata forma di alienazione, che appare muta per tutto il film. Dopo la morte del pavone alla fine parlerà, come per miracolo.
Un accento emblematico si nota con la frase: “potevamo essere noi”. Essa fa da coronamento alla morte del pavone che si rappresenta simbolicamente come una sintesi di tutta la vicenda la quale resta scolpita nei nostri cuori a ragione di ciò che in qualsiasi momento ci può accadere.
Un racconto che sembra voler farci pensare alla nostra vita; a farci riflettere sul fatto che basta un attimo e tutto può accadere, la “festa” viene rovinata e la nostra esistenza può venire sconvolta…
Così si esprime il regista: “tutti si parlano, ma nessuno si ascolta…