Nudo di donna di Maria Grazia Dal Prà

nudo di donna Auguste-Rodin-Torse-d’Adèle

Ultimo appuntamento per la rassegna settimanale dei 12 finalisti del primo concorso de Il Portolano Scuola di Scrittura Autobiografica e Narrativa di Treviso con il racconto Nudo di donna di Maria Grazia Dal Prà.

I racconti sono pubblicati in ordine alfabetico per titolo.

Buona lettura!

NUDO DI DONNA

Erano passati meno di due mesi dall’inaugurazione e ancora tutti i giornali ne parlavano come l’evento dell’anno. Non solo le riviste, per così dire specializzate, di wellness, fitness e tutto ciò che poteva suggerire il benessere della persona. Anche altre carte più o meno patinate, avevano infatti dedicato grande spazio alla nascita di quel tempio acquatico, non certo primo, né unico, ma provvisto di ogni sorta di innovazione tecnologica a fin di bene…ssere, appunto. Per non dire dei siti web in cui fiorivano i coupon per l’accesso scontato e le gite in pullman appositamente organizzate.

Insomma, pareva proprio che in quella stagione invernale appena iniziata, andare alle Terme Salus per Aquam, fosse un must. Il nome anche, era stata una studiata azione di marketing che limitandosi a esplicitare l’acronimo, si era distinto da tutte le altre SpA anonime esistenti in l’Italia e al nord, in particolare.

Io a dirla tutta, ero lì per caso. Cioè per vacanza. Una settimana bianca in Alto Adige o meglio, in Süd Tirol, come amano dire da quelle parti. Di bianco, il paesaggio era ancora avaro: era venuta un po’ di neve a Natale, giusto per la scenografia dei mercatini e il minimo sindacale di atmosfera. Poi, più niente. Ma a distanza di due mesi, gli sciatori potevano comunque contare sull’opera dei cannoni che a dispetto del nome, pacificavano tutti, mantenendo le piste in condizioni di innevamento ottimale.

Con questa garanzia ero partita per qualche giorno di relax e vita attiva all’aria aperta assieme a un gruppo di amici: due coppie, Marco e Arianna e Gigi e Paola; tre spaiati, Eva, Romano ed io. “Vedrai Diana come ci divertiremo” mi aveva detto Eva, già in assetto di caccia dopo l’ultima cantonata amorosa che l’aveva appena riportata allo stato di single. Lei era sempre predisposta ai nuovi incontri, specie al di fuori da situazioni quotidiane, come in quel caso. Quanto a me, stavo vivendo un momento di felice solitudine sentimentale e avevo solo voglia di distrarmi dalle occupazioni consuete.

Al nostro arrivo alla Gasthof tirolese, il benvenuto fu, come abitudine dei gestori, accogliente: era la terza volta che tornavo lì, ormai ero di famiglia. Nella stanza che dividevo con Eva, il legno delle travature, incoraggiato del calore del caminetto, liberava effluvi aromatici. E la pallina di cioccolato nel suo incarto rosso e metallico, appoggiata sul cuscino, stava lì a invitare il palato. Il tutto prima del classico rituale d’inizio che avremmo poi ripetuto ogni giorno al piano interrato, dopo una giornata sulle piste: le pratiche al centro benessere. Per il tipo di alloggio, quella struttura offriva tutto ciò di cui potevo aver bisogno: un paio di saune a differenti temperature, un bagno turco, il percorso Kneipp, le cabine a infrarossi, le vasche idromassaggio.

Ma per quel giorno la combriccola aveva deciso una variante sul tema: andare alle tanto decantate terme Salus per Aquam, a neanche un’ora di strada da lì. L’idea di passare da un luogo raccolto e riservato, al suo omologo ma decuplicato tempio super frequentato, non mi attirava affatto, ma me ne feci subito una ragione e, per la compagnia, come si dice, preparai la mia borsa.

Quello che non avevo calcolato erano le regole per accedere al grande mausoleo delle acque, in cui due giorni prima era stata vista anche una nota attrice di teatro.

Nudi. Una volta entrati, è tassativamente obbligatorio muoversi privi di ogni indumento. Nudi in sauna, nudi nelle vasche, nudi dappertutto. Sì, tra una pratica e l’altra, è consentito infilarsi l’accappatoio e coccolarcisi dentro per un po’, ma solo per gli intervalli di riposo. Nella SpA del nostro alberghino, il bikini me l’avevano sempre lasciato tenere. E così pure quella foglia di fico di telo bianco che mi trascinavo in sauna quando per una migliore traspirazione mi liberavo del costume, ma potevo coprire le pudenda.

Al Sanus per Aquam invece, tutto in mostra. Non solo non era consentito portare un fazzoletto, era proprio VIETATO. Non è che si possa tanto discutere con le regole dei tedeschi. Nei primi dieci secondi di ambientamento capii che mi si leggeva in fronte (o forse in qualche altra parte del corpo?) che a dispetto della mia biondezza, non ero una di loro. Non una nordica disinibita, ma una provincialotta proveniente dalla pudica campagna veneta.

Essere nuda di fronte ai miei amici maschi, mi imbarazzava moltissimo. Per nascondere il corpo con il corpo stesso, avevo assunto una postura avvolta, tipo quella di Eva cacciata dal Paradiso nel quadro di Masaccio. Eva la mia amica, invece, se la rideva e si guardava intorno facendo commenti su questo e su quello.

Uscimmo per raggiungere le vasche esterne, bramando già il calore delle bolle pronte ad avvolgerci. Fuori, zero gradi, forse anche meno. Pensai di portare con me l’accappatoio, in modo da averlo pronto per quando sarei uscita bagnata. In questo modo avrei patito di meno il freddo esterno. “Che furbata” pensai “chissà come mai non ci hanno pensato anche gli altri”. Quando ebbi finito l’idromassaggio e andai verso l’accappatoio lo compresi. Capii perché nessuno l’aveva portato fuori con sé. Quel che era stato un candido e tiepido indumento, si era mutato in un monolita, un blocco unico di spugna, irrigidito come dal tocco della Medusa.

Ora la vergogna per quel comportamento da dilettante era anche superiore a quella di essere nuda. Ero sola, gli amici mi avevano leggermente preceduta. Probabilmente loro sì, erano già avvolti dall’abbraccio di spugna calda. Calcolai mentalmente il tratto di strada da compiere per riguadagnare i locali interni: troppa. Troppa da fare, nuda, bagnata e con il menhir ghiacciato sottobraccio, come Obelix.

Pensai di colmare la distanza facendo una corsa, almeno per ridurre i tempi e contrastare quel principio di assideramento che si stava guadagnando velocemente parti di corpo. Corsi dunque, lungo le vetrate che separavano il fuori dal dentro, dove gente rilassata e accappatoiata stava in relax con tazze di tisane fumanti.

Scivolai. E forse volteggiai in aria, prima di frantumarmi a terra. La sensazione fu infatti quella di una scena al rallentatore, mentre vedevo la gente dentro avvicinarsi alle finestre e contemplare incredula l’accaduto, con i nasi che creavano umidità sui vetri.

Ecco. Se fino a un attimo prima avevo disperatamente cercato l’invisibilità, ora ero in mondovisione. Conclusi con una spaccata a terra. Tra la gente accorsa alle vetrate, attratta dalla mia spettacolare esibizione, riconobbi l’architetto Minoli, il mio vicino di casa.

In copertina: Auguste Rodin, Torse d’Adèle, 1882 © Musée Rodin, photo Christian Baraja

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