Io non dimentico (le cose importanti) di Laura Giacomel

Non dimentico le cose importanti

Continua la rassegna settimanale dei 12 racconti finalisti del concorso de Il Portolano con Non dimentico le cose importanti. Quello di Laura Giacomel è uno dei quattro testi che la giuria ha segnalato con menzione durante la premiazione del concorso Figuracce e vengono pubblicati in ordine alfabetico per titolo.

Buona lettura!

IO NON DIMENTICO (LE COSE IMPORTANTI)

Mia suocera si chiama Teresa Tamai, detta Titti, ha ottantanove anni, è una donnina di un metro e quarantotto per cinquantacinque chili compresi il busto per la schiena, il pannolone e le pappucce che non toglie neanche per dormire perché se le vengono i geloni poi è un casino, così le indossa da ottobre a marzo. È vedova e vive sola, ma da quando le sono state diagnosticate una serie di patologie perlopiù senili – in ordine decrescente: l’Alzheimer, la sordità e l’incontinenza –, ma soprattutto da quando ha iniziato a uscire di casa le notti d’inverno, in pigiama, senza dentiera e occhiali, con una borsa della spesa sotto il braccio piena di bollette da pagare, scatole vuote di farmaci, fotografie in bianco e nero del suo matrimonio australiano, scavalcando la finestra, scendendo le scale lastricate di ghiaccio, girovagando per il quartiere in cerca della sua casa – bussando alle porte dei vicini – ecco, da quando si è messa così, è stato necessario trovarle una badante convivente 24 ore su 24.

E chi mai può occuparsene se non la sottoscritta? L’unica persona della famiglia che sa fa-re be-ne le co-se e ne capisce di carte per l’assunzione di una badante? Perché diciamolo: le carte sono una gran rottura di palle e nessuno vuole mai farsene carico, nemmeno a pagamento.

Costretta dal totale menefreghismo dei familiari fino al quarto grado di parentela, vado all’agenzia di selezione. Dopo qualche giorno e diversi colloqui con alcune pretendenti, il direttore mi presenta Larissa Volkov dalla Bielorussia, un donnone di un metro e novanta per un quintale di carne e ossa; capelli corti tinti di arancione caco marcio, viso ricoperto da quattro strati di cipria, rossetto arancione caco acerbo in pendant con lo smalto su unghie finte e appuntite, occhi grigi da lince incazzata sotto a sopracciglia ad arco e, appeso al collo, un cellulare luccicante come fosse una collana di swarowski.

Antonio Bortoluzzi, Presidente di giuria, e Laura Giacomel

Il direttore dell’agenzia, dopo aver elogiato il curriculum della candidata, ci lascia sole.

– Buongiorno, sono Anna – dico, porgendole la mano.

– Ciao signora – dice, abbracciandomi da vecchia amica.

– Cerco una badante per mia suocera che ha novant’anni.

– Sì, direttore già spiegato me, io capito.

– Scusi, ma da quanti anni è in Italia? – chiedo, preoccupata dall’italiano maccheronico della donna.

– Io Italia tanto tempo – risponde con un sorriso fulgente trentadue denti, metà d’oro.

– E da quando potrebbe iniziare?

– Io iniziare oggi.

– Oggi? Magari cominciamo tra qualche giorno – dico, prendendo tempo.

– Io cominciare subito da tua mamma.

– Non è mia mamma, ma mia suocera – preciso.

– Tu porta me a prendere valigie da mia amica, poi andiamo da tua mamma.

– Non è mia mamma, ma mia suocera – ribadisco.

– Mia amica abitare vicino – insiste, tirandomi per il braccio.

Decido di fidarmi del suo ottimo curriculum e penso che spesso l’apparenza inganna anche se qualcosa mi dice che voler mettere insieme queste due donne è come far andare d’accordo il cabernet con la vodka.

Dopo aver recuperato i bagagli di Larissa dalla sua amica, arriviamo a casa di mia suocera. La badante si getta al collo di Titti e la bacia sulle labbra (giuro, sulle labbra) aggiungendo frasi tipo: Ti voglio bene, bella nonna.

Per prima cosa mostro a Larissa la stanza più importante, quella in cui niente deve essere toccato altrimenti mia suocera ha una crisi isterica, reazione che nemmeno i luminari della medicina consultati fino a oggi sanno spiegare. È il salotto, dove le sedie sono ricoperte di cellophane, il pavimento è rivestito di moquette beige, la TV a tubo catodico è sempre spenta, il servizio di nozze giace immacolato nella credenza di noce e la mensola è gremita di fotografie dei parenti defunti accanto a vasetti di margherite finte. La badante mi segue con gli occhi da lince attenta e il cellulare luccicante sempre appeso al collo.

Spiego a Larissa le medicine da somministrare a mia suocera: – i sonniferi deve darglieli appena dopo cena, mi raccomando – sottolineo.

Ci salutiamo, ma prima ci scambiamo i numeri di telefono: – per qualsiasi cosa, mi chiami.

– Va bene, signora Anna.

Esco, inspiro e incrocio le dita. Salgo in macchina e invio un sms a mio marito: pizza?

In pizzeria ordiniamo due battute radicchio e salsiccia e due rosse medie. E mi rilasso.

– Allora, che mi dici della badante? – chiede Luca.

– Ha ottime referenze.

– Ti fidi delle referenze, adesso?

– Sei il solito diffidente.

– Speriamo sia come dici tu.

– Non essere paranoico.

– Non sono paranoico: posso solo avere un minimo dubbio?

– Se hai dubbi sulla mia scelta potevi occuparti di cercare una badante a tua madre.

– Lo sai che non potevo occuparmene, sono fuori dalla mattina alla sera.

– Le solite scuse…

– In fondo, ti è sempre piaciuto essere considerata l’unica che sa fa-re be-ne le co-se.

– Fino a prova contraria, è la verità.

– Piantala di fare la vittima.

– Non faccio la vittima.

– Piuttosto, ti sei ricordata del salotto?

– Il salotto?

– Sì, il salotto: la fobia di mia madre. Glielo hai detto, vero?

– Certo che gliel’ho detto, che domande.

– Già, tu non dimentichi le cose importanti.

Arriva il cameriere e suona il mio cellulare: è Larissa che mi chiede di andare da mia suocera. Non capisco molto di quello che dice, a parte “vodka” e “salotto”. E questo è più che sufficiente per farci alzare e precipitarci a casa di Titti, lasciando le pizze fumanti sui piatti e le birre ghiacciate appena spinate, mentre mio marito lamenta qualcosa tipo: – prega non sia successo niente.
E io, non so perché, prego.

Arriviamo. Il salotto è a soqquadro: macchie bordeaux di cabernet sulla moquette, pile di fotografie dei defunti accatastate in un angolo, la TV accesa su Chi l’ha visto?, il servizio di nozze che apparecchia la tavola – e le margherite finte dentro i bicchieri di cristallo –.

– Cristosanto! Cosa è successo? – sono furiosa.

– Larissa, ma perché ci ha chiamati? – domanda mio marito sfoggiando un finto aplomb.

– Io chiamato per festeggiare mio nuovo lavoro e bere vodka in salotto. Usanza in mio paese.

– Ma Titti dov’è? – chiedo.

– Dopo cena, io dato medicine per dormire, come tu spiegato me oggi.

Luca raggiunge la camera da letto e constata che la madre dorme. Beatamente.

– Titti sarà andata fuori di testa in questo disastro!

– Niente disastro, signora Anna. Tua mamma tranquilla.

– Non è mia mamma, ma mia suocera!

– Io volere solo festeggiare.

– Le avevo detto che non doveva toccare nulla in salotto!

– No signora, tu non dire niente.

Luca gonfia il petto e sgrana gli occhi: – Cazzo, Anna! Perché non gliel’hai detto?

– Naturale che gliel’ho detto! Mica sono rincoglionita, eh?

– No signora, tu non dire niente.

– Larissa: so bene di averglielo detto.

– Tu fatto vedere salotto, ma tu dimenticato dire di non toccare niente.

– Larissa: io non dimentico le cose importanti!

– Signora Anna, io registrato tue parole quando spiegare me cosa devo fare.

Luca schiarisce la voce e carica l’espressione: – Ha registrato cosa, Larissa?

– Sì, registrato tutto, così io non sbagliare.

La badante sfila il suo cellulare luccicante dal collo, lo porge a mio marito, e avvia play.

La mia voce sulla registrazione non dice nulla del salotto. Nulla di nulla.

Immagine di copertina: Vasilij Kandinskij, Giallo, rosso, blu, 1925.

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