Il Neuromarketing è l’applicazione di tecniche appartenenti alle neuroscienze e alla psicologia nel campo della commercializzazione attraverso lo studio degli effetti che la pubblicità ha sul cervello umano, con l’obiettivo di arrivare a predire e a condizionare il comportamento dei consumatori.
In poche parole, il Neuromarketing analizza la reazione del cervello a certi specifici messaggi pubblicitari, riuscendo in questo modo a capire cosa spinga le persone ad acquistare. Numerosi studi hanno evidenziato, infatti, come questo organo sia diviso in tre zone differenti, che ovviamente comunicano tra loro, ma che hanno ruoli distinti nel processo decisionale: il cervello primitivo o antico, che gestisce gli impulsi e le decisioni d’impeto e che è proprio ciò che interessa di più ai marketers, il cervello limbico, che riguarda le emozioni e, infine, il neocervello, che concerne le funzioni cognitive di ordine superiore, tipo l’uso del linguaggio.
Il Neuromarketing utilizza tecniche di analisi molto differenti tra loro, come ad esempio l’analisi dei neuroni specchio, che ci impongono di “imitare” il comportamento degli altri, l’fMRI, ossia la risonanza magnetica funzionale, il Facial Action Coding System, che permette di capire le anche più piccole reazioni facciali ad un evento o, infine, l’Eye tracking, che ci restituisce il modo in cui le persone vedono e percepiscono gli eventi, le espressioni e, di conseguenza, anche i messaggi di advertising.
Tutte queste tecniche hanno aperto una nuova frontiera ai professionisti della comunicazione e hanno fatto comprendere l’efficacia di parlare direttamente al cervello delle persone, dicendo e facendo solo quello che potrà davvero indurre a una scelta d’acquisto. Gli esempi del neuromarketing sono molti: citiamo l’esperimento di Ellen Langer, psicologa di Harvard, che attraverso una scusa anche di poco valore è riuscita a saltare la fila alla fotocopiatrice, fornendo semplicemente una spiegazione veloce, e ha fatto capire come la nostra necessità di prodotti e oggetti risponda alla necessità di trovare soluzioni. Altri studi hanno verificato, ad esempio, che un numero di scelte limitato fa schizzare la nostra propensione all’acquisto, altri hanno evidenziato la nostra avversione alla perdita, per cui cartelloni pubblicitari o messaggi che ci confermano quanto manchi poco all’esaurimento delle scorte, ci spingono a comprare. La reazione emozionale alla perdita è, infatti, due volte più forte rispetto alla gioia del guadagno.
Siamo ormai molto lontani dalle tecniche del 0,99 centesimi che ci facevano sentire l’urgenza dell’acquisto insieme alla consapevolezza, sbagliata, di stare risparmiando, siamo di fronte a tecniche molto più avanzate che producono decisioni inconsce. Avete mai notato il profumo inebriante che annusate entrando in un negozio di Aber Crombie? Oppure l’odore di cheeseburger che si percepisce in un fastfood? Ecco, entrambe le fragranze sono volutamente presenti sotto forma di aromi (no, il buon odorino di carne grigliata non proviene dalle cucine del MacDonald’s!) ed entrambe hanno l’effetto immediato di raddoppiare le vendite.
L’85% delle nostre scelte è dominato e scatenato da fattori che non possiamo controllare: il neuromarketing serve proprio a scoprire cosa sia quel quid che apre al nostro decision making, motivo per cui questa nuova disciplina sia utilizzata, ormai, da quasi tutte le aziende per ottenere maggiori introiti e successo.
Ovviamente, stiamo parlando di tecniche controverse, a volte non etiche che, però, riguardano tutti i lati della comunicazione, dal web design al semplice spot pubblicitario. Il marketing, inteso proprio come “l’arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore, per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto” (Philip Kotler,1967) sta costruendo intorno a noi un esercito di stimoli ai quali non possiamo non rispondere, perché vanno a colpire la nostra componente irrazionale. La comunicazione commerciale, quindi, sta lentamente diventando subliminale, nascosta, subconscia. L’associazione nordamericana Commercial Alert ha realizzato, infatti, una petizione contro le tecniche di neuromarketing, che è anche stata presentata al Congresso e che racconta tutte le prospettive e le conseguenze negative che derivano da questa tecnica innovativa. Non da ultimi, infatti, hanno cominciato ad avvicinarsi a questa disciplina le multinazionali del tabacco. Marlboro ha iniziato a tappezzare spot, video e cartelloni del suo celebre e unico rosso che stranamente, o forse no, risveglia in noi una inestinguibile voglia di fumare. Ma il neuromarketing riguarda anche la politica: le sue tecniche applicate alla propaganda potrebbero influenzare i cittadini, portandoli a compiere scelte obbligate, non razionali e, di conseguenza, il potere potrebbe ricadere nelle mani sbagliate. Esperti del settore, Martin Lindstrom in primis, invece, rivendicano le potenzialità benefiche di questa scienza, sostenendo che potrà essere usata nel bene o nel male a seconda di come verrà accolta e compresa dalle aziende.
Non è possibile negare, però, che una percentuale di pericolo c’è e il rischio più grande è quello di espropriare le persone del loro raziocinio, quello di creare nuovi mostri nella nostra società, inebetiti dalla forza subconscia dei messaggi pubblicitari, costretti a comprare, a riempirsi di oggetti di cui non hanno bisogno, attratti da fast food, alcolici e tabacco e relegati in una vita di non-scelta, di sottomissione alle regole spietate del mercato.
La soluzione c’è ed è quella di informarsi: conoscere queste tecniche è il modo migliore per difendersi. Scoprire che ci stanno manipolando è la strada giusta per risvegliarsi e iniziare a decidere per noi stessi, sulla base di ragioni concrete che devono partire sicuramente dall’utilità di ciò che compriamo.
Attenzione, quindi, a ciò che comprate, a volte non ha nulla a che fare con ciò che davvero siete: potrebbe essere il vostro io ancestrale oppure è solo neuromarketing.