Molluschi, crostacei, uccelli marini e foche, ma anche cervi, tartarughe e persino pinoli: ecco di cosa si cibavano i neanderthal.
Una ricerca pubblicata oggi sulla rivista Science dimostra come fosse ricca e varia la dieta del neanderthal, capace di procurarsi alimenti di origine marina già 100mila anni fa.
Lo studio, coordinato dall’archeologo portoghese João Zilhão insieme a Diego E. Angelucci dell’Università di Trento sui reperti rinvenuti in una grotta vicino a Lisbona, rivaluta le capacità intellettive del neanderthal: possedevano un buon sviluppo tecnologico, erano capaci di attribuire significato simbolico alle cose e avevano familiarità con il mare e le coste.
Una grotta semi nascosta in un promontorio a picco sul mare a sud di Lisbona. Un guscio di pietra che custodisce indizi di un insediamento di circa 100mila anni fa. I resti di un ambiente vissuto e di un pasto.
La grotta di Figueira Brava a sud di Lisbona ha svelato a un gruppo di archeologi il suo tesoro: informazioni uniche sulla dieta, sui comportamenti e le caratteristiche dei neandertaliani.
I risultati degli studi e degli scavi ad opera di una ventina di archeologi e archeologhe di vari paesi diretti da João Zilhão (Università di Barcellona, Spagna) è stato pubblicato oggi sull’importante rivista Science.
Tra gli autori dello studio anche Diego E. Angelucci, archeologo dell’Università di Trento che da anni si occupa dei Neanderthal e di dare una risposta a un interrogativo: davvero erano meno intelligenti dell’Homo Sapiens?
Angelucci si è occupato di ricostruire la stratigrafia del sito, valutare la posizione e l’integrità dei reperti rinvenuti, comprendere l’origine dei sedimenti della grotta e riconoscere gli apporti dovuti all’azione umana.
Un lungo lavoro di elaborazione dati, scrittura e redazione, ma soprattutto nello scavo, battendo il territorio circostante e raccogliendo campioni poi analizzati al microscopio mediante la tecnica detta “micromorfologia archeologica”.
«Lo scavo – spiega Angelucci – ha permesso di recuperare una grande quantità di resti archeologici relativi all’occupazione della grotta da parte dei neandertaliani: strumenti in pietra scheggiata (selce e quarzo), resti di pasto, residui dell’uso del fuoco (carboni e cenere).
Tra i resti di pasto, la sorpresa è rappresentata dall’abbondante presenza di resti di pesce, molluschi e crostacei, che dimostrano l’utilizzo sistematico di risorse di origine marina».
Dentro la grotta, un “menù” di terra e di mare
La grotta di Figueira Brava si trova lungo la costa rocciosa che delimita la Serra da Arrábida, nelle vicinanze della città di Setúbal (30 km a sud di Lisbona). La grotta è stata frequentata da gruppi di neandertaliani per un arco di tempo intorno ai ventimila anni durante l’ultimo interglaciale, tra circa 106mila e 86mila anni fa. Un periodo caratterizzato da clima temperato, simile a quello attuale.
La grotta è oggi situata lungo la linea di costa, ma si trovava più lontana dal mare quando fu occupata dai neandertaliani, a una distanza variabile tra 750 m e 2 km
Malgrado ciò, il “menu” quotidiano dei neandertaliani che abitarono Figueira Brava era molto variato, con risorse alimentari di origine marina ben rappresentate che costituivano, con ogni probabilità, una componente significativa della dieta neandertaliana, se non maggioritaria.
Nel “menu” si trova infatti una quantità rilevante di cibi provenienti dal litorale o dal mare: molluschi (cozze, vongole e patelle), crostacei (granceole e altri granchi), pesci (squali come lo smeriglio –il cosiddetto vitello di mare– e la verdesca, ma anche anguille, orate, gronghi, cefali), vari uccelli marini o acquatici (tra cui germani reali, oche selvatiche, sule, cormorani, gazze marine, garzette e altri) e mammiferi marini (delfini e foche grigie).
Ai resti di pasto provenienti dalla costa si aggiungono prodotti della caccia, che includeva il cervo, lo stambecco, il cavallo, l’uro e piccole prede quali la tartaruga terrestre. Notevole anche l’utilizzo di risorse vegetali.
Tra i resti carbonizzati sono state riconosciute varie specie tipiche dell’ambiente mediterraneo (l’olivastro, la vite selvatica, il fico, diverse specie di quercia) e in particolare il pino domestico, di cui sono stati rinvenuti in scavo frammenti di legno, ma soprattutto resti di pigne e gusci di pinoli.
Le implicazioni di questo studio
Fino ad oggi le evidenze di sfruttamento delle risorse marine (grazie alla raccolta di molluschi, alla pesca e alla caccia alle foche) da parte dei gruppi neandertaliani che occupavano le aree costiere del continente europeo e della Asia occidentale erano praticamente assenti.
Nel continente africano, abitato da gruppi di “umani anatomicamente moderni” (i sapiens, praticamente), la situazione è invece diversa, in particolare lungo le coste del Sudafrica, ove il ricorso alle risorse marine è ben documentato durante l’ultimo interglaciale (cioè, nello stesso periodo di tempo in cui fu occupata la grotta di Figueira Brava).
Gli alimenti di origine marina sono ricchi di Omega 3 e di altri acidi grassi che favoriscono lo sviluppo dei tessuti cerebrali.
Questo dato, unito a quanto osservato in Africa australe, ha portato allo sviluppo di un modello che sostiene che il consumo di alimenti di origine marina avrebbe incentivato un aumento delle capacità cognitive delle popolazioni africane “moderne” durante l’ultimo interglaciale e che a questo si dovrebbe la comparsa in Africa, in periodi particolarmente antichi, di cultura materiale con significato simbolico (es. la decorazione del corpo con ocra o l’uso di oggetti di adorno personale).
Questo argomento ‘tradizionale’ riconduce ad altri aspetti, quali lo sviluppo del pensiero astratto, la comparsa del linguaggio articolato e l’emergenza di società più organizzate e complesse: queste sarebbero state prerogative dei gruppi umani “moderni” di origine africana, ma non delle popolazioni euroasiatiche (neandertaliani e denisoviani).
Lo studio implica anche che la familiarità del genere umano con gli ambienti litorali e marini, è ben più antica e complessa di quanto ritenuto finora. Ciò permette di rivalutare anche l’espansione umana a territori non collegati da ponti continentali in fasi antiche.
Ad esempio la colonizzazione dell’Australia e della Nuova Guinea, avvenuta tra 50-45mila anni fa. Inoltre, va anche riconsiderata la visione tradizionale dei neandertaliani come di gruppi umani adattati esclusivamente agli ambienti freddi dell’ultimo ciclo glaciale o alle steppe e tundre dell’Europa centrale.
Gli studi precedenti
Negli ultimi anni sono comparsi studi che evidenziano come i neandertaliani europei fossero in grado di produrre cultura materiale con significato simbolico.
Un riferimento in questo senso è lo studio pubblicato su Science Advances nel febbraio 2018 (Hoffmann et alii), che aveva permesso di datare a circa 115mila anni fa le conchiglie perforate raccolte nella grotta “Cueva de los Aviones” (presso Cartagena, in Spagna),