Margherita e lo psicopompo | Racconto di Francesco Zanolla

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“Margherita si alzò e arrancò al buio fino alla porta del frigo. In un angolo, il coniglio gigante la fissava.”

Ecco la seconda variante all’incipit nella proposta di Francesco Zanolla che conduce il lettore al confine tra allucinazione, dimensione onirica e visione fumettistica di un possibile incontro con la morte; non c’è un mantello nero né una falce ma un coniglio affamato.

L’efficacia del racconto è nei dialoghi. Buona lettura.

Margherita e lo psicopompo

Margherita si alzò e arrancò al buio fino alla porta del frigo. In un angolo, il coniglio gigante la fissava.

Ritto sulle zampe posteriori, doveva essere alto almeno un metro e ottanta, dato che le punte delle lunghe orecchie lambivano il soffitto.

Margherita strizzò gli occhi. Li chiuse e poi li riaprì.

Il coniglio non sparì. Non era un’allucinazione.

Sgranocchiava un wurstel dopo averlo inzuppato nel barattolo della senape che teneva tra le zampe anteriori.

Tutta roba che arriva dal mio frigo, pensò Margherita, con una punta di irritazione.

«Credevo che i conigli fossero erbivori» sbottò. Era una frase stupida da dirsi in una situazione come quella. Se ne rese conto nel momento stesso in cui la pronunciava.

«Una delle tante bugie sul nostro conto» disse il coniglio, che finì di masticare il wurstel e posò il barattolo della senape sulla credenza.

«Non ho trovato birra in frigo» disse, un po’ piccato.

«Non mi piace» rispose lei. Una vocina, in un angolo del suo cervello, continuava a ripetere: «Tra un attimo ti svegli, è solo un sogno.»

Il coniglio scosse la testa e le orecchie ondeggiarono un po’ comicamente, quasi fossero posticce.

«Non c’è un modo facile per dirlo» sospirò.

«Cosa?»

«Che è ora di andare.»

«Dove?»

«Valhalla. Grandi Praterie. Campi Elisi. Aldilà. Devo continuare?»

«Io? Cioè, adesso?»

Il coniglio uscì dall’angolo «Un aneurisma cerebrale, tra circa due minuti e mezzo. Dovresti già sentire una leggera ma insistente pulsazione alla tempia destra. Non è forse quella che ti ha svegliato?»

In effetti da quando si era svegliata avvertiva un vago mal di testa.

«Sei un angelo?» chiese.

«No.»

«Un diavolo?»

«No. Sono uno psicopompo.»

«Psico…?»

«…pompo. È greco. Significa “colui che accompagna le anime”.»

«Sei la Morte?»

«No, ma sarà qui a momenti. È lei che fa il lavoro sporco. Non la vedrai nemmeno. Con tutti gli appuntamenti che ha, deve schizzare tutto il giorno ovunque come una scheggia. E i cocci li raccogliamo io e i miei colleghi.»

«Perché proprio io?» chiese Margherita. Si sedette a tavola, coprendosi il viso con le mani.

«E perché no?»

Margherita allontanò le mani dal viso, proprio mentre un’altra enorme figura conigliesca, ma più agile e slanciata nelle forme e candida come la neve, si materializzava davanti a lei.

«Che diavolo ci fai qui?» disse la nuova venuta rivolta all’altro roditore.

«Ti stavamo aspettando, Morty» rispose il coniglio.

La lepre scosse il capo. «Ripetimi l’ordine di prelievo.»

Il coniglio serrò gli occhi per concentrarsi poi recitò tutto d’un fiato «Ore 3:37 p.m. aneurisma cerebrale. Via Pisa 47 Trevignano.»

«…Romano. Trevignano Romano, provincia di Roma. Non Trevignano, provincia di Treviso» disse irritata.

Il coniglio balbettò «Io… non ricordo bene…però lei, sì, insomma, ha già i sintomi. Vero? Non ti pulsa la testa?»

Margherita annuì.

«Sono le tre birre che si è scolata prima di andare a letto. Stasera ha litigato col suo ragazzo. Si sono lasciati. Per sempre.»

«Come sai che sarà per sempre?» s’imbronciò Margherita.

La lepre ignorò la domanda.

«Sai che cosa significa?» chiese al coniglio, che si limitò a squadrarla con aria smarrita.

«Significa che non ho potuto fare il lavoro perché non c’era nessuno ad accompagnare l’anima del cavalier Amilcare Testacci, classe 1931. Che il bilancio psicocosmico andrà in surplus, che si accavalleranno le sequenze karmiche e che ci saranno da aggiornare tutte le liste di prelievo.»

«E pure che mi ha mentito, ‘sta stronza! La birra le piace!» disse il coniglio.

« Al reparto planning tireranno su un casino.»

«Come sai che non tornerò con Amedeo?» chiese di nuovo Margherita.

«Ho ricevuto il suo ordine di prelievo. Dopodomani finirà sotto un tram.»

Margherita scoppiò a piangere.

«Prendiamo lei» bisbigliò il coniglio dopo trenta secondi di silenzio.

La lepre lo guardò.

«Non vedi com’è disperata? E a giudicare dallo stato di questa topaia non fa certo una vita da rimpiangere.»

La lepre esitò, ma poi parve farsi convinta.

«All’ufficio Karma brontoleranno un po’ perché non è Testacci, ma in fondo quel che a loro importa è avere la giusta quota di anime da reincarnare. E poi mi devono un favore da quella volta che nel ’45 hanno schiaffato Adolf Hitler in Bob Marley anziché in uno scarabeo stercorario, e li ho coperti con i piani alti.»

Il coniglio aprì il frigo e tirò fuori una vaschetta. C’era del salame affettato. Ne rosicchiarono qualche fetta.

Margherita intanto continuava a singhiozzare, annichilita sul tavolo.

Cantilenava il nome del suo ragazzo e forse delle preghiere.

Da un cassetto della credenza spuntò un pesante batticarne.

«Pensava che fossimo erbivori» rise il coniglio.

«E magari anche che fossimo innocui.»

«Procediamo?» chiese il coniglio, porgendole il batticarne.

La lepre lo prese, si fece seria, come faceva sempre quando si arrivava al dunque, e annuì.

La nenia intanto continuava. Avrebbe liquefatto un cuore di granito.

«Però diamole ancora qualche minuto» disse mentre le accarezzava la testa e le scostava con dolcezza i capelli dalla nuca.

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Il racconto precedente è Il metodo Dzhabayev di Edoardo Barea.

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