Ad un primo esame superficiale della tragedia di Shakespeare sembra che essa sia volta a mettere in luce fino a dove può spingersi la cattiveria dall’animo umano, nel sanguinario omicidio e nella più turpe immagine di chi si impossessa del male. Ma, come il diavolo non potrebbe esistere se non fosse anch’esso un disegno di Dio per poter combattere le tentazioni del male, come Giuda, tanto denigrato nella dottrina, non fosse altro che uno scopo divino senza il quale Gesù non sarebbe stato crocefisso per salvarci per poi salire al cielo, così Caino, non sarebbe stato il primo traditore della storia uccidendo il fratello Abele se non per volere di Dio, “che tutto vede e prevede”.
E così anche il terribile Macbeth, ad un esame più approfondito, appare come la manifestazione più tangibile della difficoltà di discernere tra il bene ed il male, di operare delle scelte giuste dettate da un proprio io adulto e consapevole. E qui, nell’analogia del disegno divino e del suo “ultrapotere”, hanno buon gioco le predilezioni delle streghe nel farci accettare gli atti più malvagi come ineluttabili impartiti da un volere più alto dell’umano.
Se leggiamo questa tragedia shakespeariana in chiave psicoanalitica possiamo intravedere le molte parti di noi le quali, nel contendere, spesso ci limitano e ci condizionano la vita del nostro essere in solido, sicuri di noi stessi e delle nostre azioni.
Ma andiamo per ordine. Il film diretto da Roman Polanski inizia con il susseguirsi non a caso di alba e tramonto, mentre un corvo vola minaccioso nell’aria. Di estrema importanza la presentazione delle tre fattucchiere nell’età della giovinezza, della maturità e della vecchiaia che introducono lo spettatore al futuro destino con le parole: quel che è bello e quel che è brutto. Quando il fragore sarà cessato e la battaglia sarà vinta e persa, prima del tramonto nelle lande incontreremo Macbeth.
A leggere tra le righe, sembra il racconto della “vita” con le infinite battaglie da affrontare, con le gioie, i dolori, i coinvolgimenti emotivi e le pene dell’esistenza.
Saranno queste streghe a predire, in un incontro con Macbeth ed il suo compagno Banquo, la fatale profezia che sottenderà tutta la tragedia a venire: sarai re di questa terra. E a Banquo, che sollecita una risposta profetica anche sul suo futuro: sarai molto meno di Macbeth, ma molto più grande, da te nasceranno dei re anche se non lo saprai.
Da questo momento in poi, Macbeth è pervaso dal sentimento della profezia e non sembra trovar pace: Le paure della realtà sono minori delle cose orribili che si immaginano? E’ l’eterna consapevolezza del male che ci attanaglia anche nella vita attuale dove la difficoltà di discernere con chiarezza e determinazione tra la fantasia e la realtà rappresenta come si può ingannare sé stessi fomentando timori e paure dettate dall’inconscio. Infatti Macbeth così si esprime al pensiero di assassinare il re per impadronirsi della corona: Il pensiero in cui l’assassinio è solo fantasia, per ora, scuote tanto la mia fibra di uomo che la mente è soffocata da questa supposizione. Si pensi alla chiaroveggenza della frase seguente nel discernimento tra fantasie e realtà: E nulla esiste più se non ciò che non esiste.
In realtà Macbeth non è mai sicuro delle azioni da compiere ed è preso da mille dubbi nell’agire. Come si diceva, fantasia e realtà spesso si mescolano nella nostra vita allontanandoci da una chiara visione delle cose reali e costringendoci, spesso, a scelte errate. Una parte di noi infatti può superare la nostra titubanza convincendoci ad agire nella tentazione di atti riprovevoli. In questa visione prende parte attiva la compagna del protagonista, Lady Macbeth, nel convincerlo a decidersi, dato che lo giudica di natura troppo buono: … ciò che più desideri vorresti averlo santamente. Non vuoi agire con l’inganno, ma vorresti avere quello che non ti spetta. Mentre Macbeth pensa di dover compiere un atto ingiusto dicendo: nascondete le vostre luci che nessuno possa vedere i miei più neri desideri.
E qui sta un’altra grandezza del pensiero universale di Shakespeare, nel farci capire come possa apparire la consapevolezza del desiderio più cruento al quale non sembra ci si possa ribellare, facendoci commettere degli atti di cui poi, a ragion veduta, ci dobbiamo pentire.
La tentazione della compagna all’assassinio del re prosegue, non solo nella tentazione “del porgere la biblica mela”, ma anche nell’aiuto materiale al compimento dell’atto: Il sole non vedrà mai quel domani. Come un fiore innocente, ma si la serpe che vi si nasconde, il resto lascialo a me.
I dilemmi coscienti di Macbeth, in merito al misfatto, sembrano voler evitare, come molti nostri pensieri, le violenze e l’aggressività verso chi ci vuole bene sperando addirittura di poter superare il problema lasciando questa vita per un’altra pur di cancellare quel desiderio del “delitto” che sembra ordinarci qualcuno dentro di noi e che alla fine si ripercuote sulla stessa nostra testa: se l’assassinio potesse imprigionare le conseguenze e con la loro abolizione assicurare il successo, e questo solo colpo fosse tutto e la fine di tutto, qui da queste rive dei bassifondi del tempo saltare ad una vita a venire. Ma in simili casi dobbiamo pure subire un giudizio qui perché noi non facciamo altro che dare ordini sanguinari che, una volta dettati, riversano la testa sul loro inventore.
Macbeth capisce di essere stato coinvolto in un’azione che non può tollerare dicendo: ho solo l’impulso di montare in sella e, quando è troppo, fa cadere dall’altra parte; e poi rivolgendosi alla compagna: non dobbiamo più andare avanti in questa faccenda. Mentre lei lo redarguisce: vuoi solo vivere da vigliacco, e lui di rimando: Chi osa di più non è uomo, e se dovessimo fallire? Lei gli risponde: falliremo, ma tendi la corda del tuo coraggio e vedrai che non falliremo.
Più che una premonizione del complesso edipico, in questo caso la figura del padre, simbolizzato dal buon re che ama il suo futuro assassino, serve come pretesto per manifestare la difficoltà dell’uomo nell’assumere le decisioni, nel continuo dilemma e poi del rimorso per l’atto compiuto. Non già quindi una lotta per uscire dalla posizione di dipendenza dal “padre” per raggiungere la maturità contro l’inadeguatezza della propria posizione infantile, quanto una battaglia volta ad accettare l’aggressività per la conquista del potere.
È l’eterna lotta tra il bene ed il male, nel desiderio e nel piacere di voler compiere atti proibiti, che troviamo anche nella Bibbia in Adamo ed Eva, nella trasgressione quando il serpente, tentando la donna, la convince ad offrire all’uomo il frutto del peccato.
Così Lady Macbeth architetta il piano di addormentare le guardie del re per ucciderlo nel sonno. Sembra quasi che Shakespeare ci voglia dimostrare la pericolosità dell’animo di una donna che finge grande affetto recandosi addirittura dal re e danzando con lui alla festa nonostante i suoi turpi pensieri per ucciderlo.
Ma cosa ci aspetta una volta che abbiamo anche solo desiderato di far sparire la nostra figura paterna? Da questo momento, come il bambino nel pensiero edipico di Freud, Macbeth viene logorato dal rimorso e dal timore di essere scoperto. Il primo a cadere sotto le mani del nuovo re è Banquo, che avendo assistito alla profezia, ha notato l’ambizione di Macbeth; inoltre, sapendo che le streghe avevano dichiarato che non i suoi figli ma quelli di Banquo, sarebbero diventati re, egli assolda dei sicari per uccidere Banquo e suo figlio Fleance. Il ragazzo riesce a fuggire ma Banquo perisce. Macbeth viene tormentato dal fantasma dell’ucciso come se la sua anima non potesse trovar pace. E anche qui la fantasia gioca un altro ruolo determinante nel sentimento di colpa che non può lasciare indenne la mente di chi si macchia di gravi atti contro la natura umana, anche se solo desiderati e ancora non commessi.
Macbeth ora si sente più sicuro perché le streghe, in altra profezia, gli diranno che non dovrà temere di alcuno finchè la foresta di Birman non marcerà verso di lui, e finchè un uomo non partorito da donna lo affronterà. Si sente più tranquillo perché considera le nuove profezie irrealizzabili e instaura un regime di terrore: fa uccidere tutti gli abitanti del castello di Macduff, compresa sua moglie e il piccolo figlio. Ma Macduff si salva perchè aveva raggiunto uno dei figli del re, Malcolm, per organizzare un esercito per spodestare Macbeth. L’esercito, in prossimità del castello, avanzerà nascosto tagliando ogni albero e mimetizzando ogni soldato. La prima profezia quindi si realizza nella foresta che avanza verso il castello. Il dramma coinvolge anche la moglie di Macbeth, la quale, tormentata dalla colpa, non regge al dolore e si uccide.
E anche qui tocchiamo uno dei tasti più alti dell’esistenza umana nel palesare il proprio dolore al punto di togliersi la vita. Ciò mette in evidenza come il dolore rimosso, che alberga nell’inconscio, che torna alla luce può, di contro al suicidio di Lady Macbeth, produrre sollievo e possedere il più grande potere terapeutico. Nonostante l’avverarsi della profezia della foresta che avanza, Macbeth si sente ancora sicuro pensando alla seconda profezia che dichiara che nessun uomo partorito da donna possa ucciderlo.
Macduff, una volta entrato con il suo esercito nel castello, sfida Macbeth a duello. Durante il combattimento Macbeth parla della profezia secondo la quale non potrà essere ucciso da chi è stato partorito da una donna. A quel punto Macduff rivela che lui è nato per mano di un chirurgo a seguito di un taglio cesareo. Macduff infatti ucciderà Macbeth portando trionfalmente la sua testa al nuovo re Malcolm, che dichiarerà la pace nel regno.
“Il cattivo” viene dunque eliminato, giustizia è stata fatta e la bontà dell’animo ha preso il sopravvento? Tutto ciò potrebbe venir compreso come la bella fiaba che termina con “vissero felici e contenti”, se Shakespeare non fosse quello che è mettendo in atto un dramma di ben più alto significato.
La fantasia è davvero importante perché, come per i sogni, grazie alla sua interpretazione possiamo comprendere cosa si celi dentro di noi e mettere in luce desideri, passioni, ostilità, che albergano nel nostro inconscio. Macbeth, in fondo, sembra rappresentare l’emblema dell’aggressività, ma anche dell’indecisione della persona umana, sempre preso dai mille dubbi dell’esistenza. Soprattutto, dall’esperienza della propria vita sembra che la fantasia possa, a volte, prendere il sopravvento sulla realtà, diventando essa stessa fonte di piacere e, al tempo stesso, se messa in atto, fonte di ogni più malevole atto inconsulto. È l’eterno dissidio che sottende il male di vivere e che, nella schizofrenica visione di confondere la realtà con la fantasia, spesso ci porta ai veri e propri drammi nella nostra esistenza.