La messa è finita di Angelo Martorana

La nuova lettura per la rassegna settimanale dei 12 racconti finalisti del primo concorso de Il Portolano Scuola di Scrittura Autobiografica e Narrativa di Treviso è La messa è finita di Angelo Martorana.

I racconti sono pubblicati in ordine alfabetico per titolo.

Buona lettura!

LA MESSA È FINITA

Eugenio, classe 1912, muratore in pensione, aveva sempre vissuto del proprio lavoro, mantenendo la moglie Pippa e i loro sette figli.
La sua origine proletaria l’aveva portato ad essere comunista: non perdeva occasione di esibire la sua fede politica. Ciò nonostante, un giorno promise il voto a un candidato democristiano, che però non venne eletto.
«Sono proprio dispiaciuto che Lei non sia passato! Io però ho mantenuto la mia parola» gli disse incontrandolo dal fornaio, dopo essersi tolto il cappello in segno di ossequioso rispetto.
«Guardi, signor Eugenio, io ho ricevuto solo due voti: uno è il mio e l’altro… non posso certo dubitare di mia madre!» rispose l’uomo. Eugenio non si perse d’animo, e di getto rispose: «Visto che ho fatto bene? Sarebbe stato un voto sprecato!».

Era comunista sino al midollo, dicevamo. E tale ideologia l’aveva portato a non andare in chiesa: forse un Dio da qualche parte doveva pur esserci, ma… alla larga dai preti! L’ultima messa cui aveva partecipato era stata quella del matrimonio del suo figlio minore, Riccardo. Poi ai battesimi dei vari nipoti aveva sempre fatto in modo di arrivare quando la cerimonia era ormai conclusa.
«Oh! È già finita: che peccato!» diceva ogni volta, stringendo la mano al figlio o al genero, che “casualmente” incontrava proprio sul sagrato.

Ma in occasione del battesimo di Sergio, secondogenito di Riccardo, non riuscì a mettere in scena l’ormai consueto copione: il figlio Roberto, infatti, si incaricò di andare a prenderlo a casa.
Eugenio inventava ogni scusa per ritardare: non trovava i calzini accoppiati; e la camicia non era stirata; e il vestito indossato l’ultima volta al matrimonio di Riccardo non gli andava più bene…
Pippa lo tranquillizzava: recuperava un paio di calzini blu («ma non ce ne sono di neri?» brontolava Eugenio), stirava la camicia («Non posso indossarla: scotta!» prendeva tempo Eugenio), spostava il bottone dei pantaloni, ai quali poi dava un colpo di ferro da stiro, come anche alla giacca e al gilet.
«E la cintura? Dov’è la cintura? Non posso andare senza cintura!» disse Eugenio, cercando un nuovo pretesto per tergiversare. Prontamente Roberto consegnò l’accessorio che il padre indossò.
«E le scarpe?» disse ancora Eugenio, trovando una nuova scusa per perdere un po’ di tempo.
«Eccole qui, appena finite di lucidare!» rispose la moglie, porgendogliele assieme al calzascarpe.
«E ora pettinati, mentre finisco di prepararmi anch’io» gli sorrise la moglie.
Eugenio entrò in bagno e si scrutò allo specchio. Era ancora un bell’uomo, a dispetto dell’età, che le rughe sul collo tradivano… Quel particolare lo fece trasecolare: «La cravatta: dov’è la mia cravatta?» urlò.
«Preferisci quella rossa o quella blu?» chiese il figlio esibendo le due cravatte come fossero trofei.
Ma Eugenio, per ritardare ancora un po’, esclamò: «Voglio il mio fifì nero!»
«Eccolo!» intervenne Pippa. Eugenio lasciò che la moglie gli abbottonasse il primo bottone della camicia e gli sistemasse il farfallino.
«Ora sei proprio perfetto, papà!» commentò Roberto, mentre anch’egli indossava la propria giacca.
«Possiamo andare» disse Pippa, prendendo le chiavi di casa.
«Ho sete: vado a bere un bicchier d’acqua fresca» prese ancora tempo Eugenio, dirigendosi verso la cucina.

La moglie e il figlio lo attendevano nell’ingresso. Sentirono la porta del frigo aprirsi e poi richiudersi; udirono il tonfo della bottiglia di vetro appoggiata senza troppe cautele sul tavolo, e subito dopo un rumore più leggero, che intuirono essere quello del bicchiere; seguirono il “glu glu” dell’acqua versata fino all’orlo e di nuovo il frigo che si riapriva e richiudeva. Per qualche istante nessun suono, né rumore, né fruscio si udì provenire dalla cucina. Ma durò poco.
«Porco d’un porco!» urlò Eugenio.
«Cos’è successo?» chiesero quasi all’unisono Pippa e Roberto dirigendosi verso la cucina.
«Mi sono bagnato mentre bevevo» rispose l’uomo, mentre un lampo di genio gli passava per la testa. «Non posso venire al battesimo in queste condizioni!» proseguì.
«Ma cosa dici, papà? È solo un po’ d’acqua! Con questo caldo si asciugherà subito» rispose Roberto.
Eugenio non aveva più scuse. A malincuore uscì di casa.

Durante il tragitto in auto rimase in silenzio. Era terrorizzato dall’idea di entrare in chiesa. Come ci si comporta? Quali gesti bisogna fare? E cosa bisogna dire? Questi e altri interrogativi gli affollavano la mente.
Sceso dall’auto, entrò per ultimo nella Cattedrale, cercando di osservare il comportamento del figlio per replicarlo.
Roberto si avvicinò all’acquasantiera, intinse leggermente la punta del dito e si segnò. Eugenio, a ruota, immerse completamente la mano destra. Cercò di asciugarla sfregandola sulla sinistra, e quindi passò entrambe le mani sul viso, mentre la gente intorno lo osservava sbigottita.
Con la scusa di salutare, strinse la propria mano – ancora umidiccia – a quella di parenti e amici.
Poi sedette in quarta fila, al centro fra Pippa e Roberto, cercando di scopiazzare i gesti che vedeva compiere.

Quando la gente si alzò, si drizzò pure lui.

Il sacerdote iniziò: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
«Amen!» rispose l’assemblea.
«Amen!» disse con voce forte anche Eugenio, ma a scoppio ritardato, mentre il sacerdote proseguiva: «Il Signore sia con voi».
«E con il tuo spirito» rispose l’assemblea.
«E con il tuo spirito!» esclamò a sua volta Eugenio, quando la chiesa era ormai in silenzio.
I parenti seduti nel banco davanti si voltarono a guardarlo, ed anche il prete gli diede un’occhiataccia. Eugenio decise, quindi, che da lì in poi avrebbe solo bisbigliato le risposte, anzi: si sarebbe limitato a muovere le labbra, senza emettere alcun suono.
La celebrazione proseguì senza particolari intoppi sino all’omelia, quando Eugenio si addormentò, ed i vicini sentirono il suo respiro pesante. Roberto gli diede una gomitata; si svegliò di soprassalto, proprio mentre il prete si avvicinava al bambino per battezzarlo.

La messa proseguì. Stendiamo un velo pietoso sul fracasso che fece abbassando l’inginocchiatoio: del resto, non fu l’unico. Poi rimase impietrito per tutto il tempo della consacrazione e si rialzò solo quando udì il “Padre nostro”.
Ricordava ancora bene questa preghiera, che pronunciò con voce chiara e forte. Era proprio soddisfatto di sé, e non badò alle parole del sacerdote che invitava allo scambio di un segno di pace.
Vide Roberto che, dopo aver stretto la mano alla persona alla sua destra, la indirizzò verso di lui: «Oh, Roberto, vai via? Ok, ciao!»
Solo allora si accorse che tutti i presenti erano intenti a compiere il medesimo gesto. Si affrettò anche lui, quindi, a stringere la mano alle persone che aveva intorno dicendo «Non vado via … rimango ancora …».
Mentre i presenti, in fila, si accostavano alla Comunione, Riccardo si avvicinò al padre e gli disse: «Sono proprio contento che sei venuto. Grazie di cuore!».
Queste parole sciolsero il cuore di Eugenio, finalmente felice di aver partecipato al sacro rito. In fondo, non era stato difficile, pensò!

Dopo la benedizione finale, il sacerdote disse: «La messa è finita. Andate in pace».
«Rendiamo grazie a Dio» (che è finita, pensò Roberto).

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