La mamma può trasmettere alcuni batteri al suo neonato

Laboratorio_metagenomica_computazionale_Cibio

Da tempo la comunità scientifica dibatte su una domanda: i microorganismi che colonizzano l’intestino dei neonati a partire dalla nascita provengono dalla madre che inizia a trasmetterli al bambino già durante il parto?

La domanda è tutt’altro che oziosa. Se infatti venisse dimostrato che la madre è in grado di trasmettere, prima o durante il parto, un particolare microrganismo potenzialmente dannoso per la futura vita del bambino, potrebbe essere possibile eseguire delle analisi sulla madre durante la gravidanza e predisporre un qualche genere di trattamento preventivo per il bambino. Allo stesso modo, nel caso di microrganismi “buoni”, cioè in grado di aiutare lo sviluppo fisiologico del bambino (fungendo da “allenatori”, ad esempio, per il suo sistema immunitario): se la mamma non potesse trasmetterli, si potrebbe farli “arrivare” al bambino in altri modi. Questo fenomeno, chiamato “trasmissione verticale”, è sempre stato tuttavia difficile da osservare a causa di limitazioni tecniche.

Recentemente un importante passo avanti è stato compiuto dalla comunità scientifica. Infatti, un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento in collaborazione con le unità operative di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento, hanno osservato in uno studio pilota che la trasmissione verticale avviene, almeno per alcune specie batteriche e può essere studiata in modo sistematico. Lo studio che ha prodotto questi risultati è stato condotto con tecniche di laboratorio e tecniche computazionali innovative.

Lo studio – finanziato dalla Fondazione Caritro e sostenuto in parte anche dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dalla Commissione europea – è stato pubblicato questa settimana su mSystems, una rivista open access della American Society for Microbiology. Quella che è stato rilevata è la presenza di ceppi batterici geneticamente identici nei campioni fecali di neonati e delle loro madri: un segnale che dimostra la trasmissione verticale. Inoltre, i ceppi trasmessi, appartenenti a diverse specie di Bacteroides e Bifidobacterium, erano attivi nelle comunità microbiche (dette microbiomi) sia della madre che del neonato, suggerendo in tal modo che la trasmissione verticale sia avvenuta con successo e possa essere duratura.

Nicola Segata, autore dello studio e ricercatore presso il Centro di Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento
Nicola Segata, autore dello studio e ricercatore presso il Centro di Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento

L’esposizione precoce del neonato è importante per l’acquisizione e lo sviluppo di un microbiota sano – afferma Nicola Segata, autore dello studio e ricercatore presso il Centro di Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento.
Abbiamo elaborato metodi per individuare il flusso verticale di microorganismi dalle madri ai neonati e dimostrato che le madri sono la fonte di parte dei microbi che potrebbero essere essenziali per lo sviluppo del microbiota intestinale del neonato. La rivoluzione si chiama metagenomica, un metodo biotecnologico che dalle feci o dalla saliva di una persona consente di risalire ai microorganismi presenti attraverso il sequenziamento del loro materiale genetico e l’analisi informatica dei dati. L’approccio classico richiederebbe invece la coltivazione dei microorganismi in laboratorio: una pratica che ha altri vantaggi ma che è lenta, costosa ed estremamente difficile per la maggioranza dei batteri nel microbiota.

Già in alcuni studi precedenti erano state osservate le stesse specie di microbi nelle madri e nei
neonati, un dato che pareva suggerire l’avvenuta trasmissione.

Tuttavia, a meno che non si possa vedere lo stesso ceppo o la stessa variante genetica, è molto difficile giungere a quella conclusione – commenta Adrian Tett, coautore dello studio e assegnista di ricerca sempre presso il Cibio.
In questo studio abbiamo dimostrato che la trasmissione verticale di microrganismi dalle madri ai neonati si può dedurre senza utilizzare metodi di coltivazione in provetta e quindi possiamo continuare l’indagine su una scala maggiore evitando approcci colturali molto dispendiosi in termini di tempo.

Gli studi sul microbiota

Tutti noi abbiamo un doppio “bagaglio” di informazioni che ci accompagna per tutta la vita. Da una parte, il nostro patrimonio genetico, quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori. Dall’altra, il microbiota, ovvero il corredo di batteri, virus e funghi che popolano il nostro corpo e che superano in numero le nostre stesse cellule. Diversmanete dal genoma, strettamente ereditario, la
composizione del microbiota dipende da una serie di fattori non ereditari (età, dieta, uso di antibiotici, solo per fare degli esempi). Oggi, come studiato in questo caso, sappiamo anche che esso dipende dall’espozione al microbiota materno alla nostra nascita.

Mentre sul genoma umano le ricerche vengono sviluppate da tempo, più recenti sono invece gli studi
relativi al microbiota. Analizzare il microbiota di una persona permette di individuare i microorganismi che caratterizzano il suo corredo e potenzialmente di studiare quanto sia esposta a determinate malattie.

La quasi totalità di questi ceppi microbici in persone sane ha funzioni indispensabili per il corpo umano, come per esempio coadiuvare la digestione. Ma la presenza di determinate varianti di alcuni microorganismi solitamente non patogeni – spiega ancora Nicola Segata – può significare avere rischi aumentati di contrarre malattie complesse e/o autoimmuni come il diabete, il morbo di Crohn e la colite ulcerosa.

Il laboratorio di metagenomica computazionale Cibio
Il laboratorio di metagenomica computazionale Cibio

Le evidenze scientifiche

Segata e colleghi hanno raccolto campioni fecali e di latte materno di cinque coppie madre-neonato individuate quando i neonati avevano tre mesi, grazie alla collaborazione dei reparti di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento. Ulteriori campioni sono stati poi raccolti da due delle coppie madre-neonato, quando i piccoli avevano 10 mesi, e poi da un’altra coppia madre-neonato all’età di 16 mesi. Su 24 campioni di microbiota (8 campioni fecali della madre, 8 del neonato e 8 campioni di latte materno) è stata applicata una particolare tecnica di laboratorio detta sequenziameto metagenomico, per verificare quali fossero i microrganismi presenti. Un’altra tecnica, il sequenziamento metatrascrittomico, è stata utilizzata sui campioni fecali provenienti da due
delle coppie per vedere quali microbi fossero attivi.

In un primo momento, come si presumeva – spiega Segata – si è osservato che l’intestino delle madri conteneva una maggiore diversità microbica rispetto a quello dei neonati. Tuttavia, il microbiota del neonato di 16 mesi era passato a una composizione più simile a quella della madre, con un aumento della diversità microbica. Nei campioni di latte materno si è riscontrata scarsa diversità dopo il parto; i microbi della pelle sono stati individuati solo in piccole quantità nel microbiota dei neonati, a indicare che essi non colonizzano l’intestino umano.

Ulteriori sforzi sono stati indirizzati ad analizzare la trasmissione microbica da madre a neonato: il team ha analizzato i campioni metagenomici a un livello più fine per esaminare ceppi batterici specifici. In un neonato è stato rilevato un ceppo del batterio infantile comune (Bifidobacterium bifidum) identico al 99,96% a quello della madre, ma palesemente distinto dai ceppi delo stesso batterio osservati in altri neonati, a suggerire una forte evidenza di trasmissione microbica verticale.

I ceppi di altri due batteri, Coprococcus comes e Ruminococcus bromii, identici a quelli delle madri in misura maggiore del 99%, sono stati rinvenuti in un altro neonato.

Benché sia ancora presto per i risultati finali su tutte le cinquanta coppie – conclude Segata – possiamo dedurre che probabilmente una parte considerevole dei batteri del neonato proviene dalla madre.

Il lavoro per gli studiosi del CIBIO, delle unità operative di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento e dei collaboratori dell’Università di Parma, è ancora in progress, impegnati appunto a esaminare altre coppie madre-neonato dalla nascita dei piccoli fino a un anno di vita.

Il prossimo passo sarà quello di confrontare le vie di trasmissione dei microbi del parto naturale e nel
parto cesareo, nell’allattamento al seno, nel contatto pelle a pelle subito dopo la nascita.

L’articolo è disponibile online in open access sul sito della rivista mSystems.

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