La fuffa dei banner e delle impressioni

La fuffa dei banner e delle impressioni | Italiandirectory

Un articolo di Bob Hoffman (se non conoscete Bob, vi consiglio di metterlo subito nella vostra lista) scopre il coperchio sulla assurdità, al limite della fraudolenza, della vendita dei banner pubblicitari.

Ma, direte voi, sei pazzo a parlare male della pubblicità online? Non è forse vero che Italiandirectory vive di pubblicità? No, non sono pazzo, anzi queste considerazioni spero possano aiutarmi a spiegare perché la pubblicità su ID è diversa, più “umana” (ed efficace).

La pubblicità su Italiandirectory non ragiona ad “impressioni”, non prevede banner, non prevede cookies che ad ogni click tracceranno la vostra navigazione per tutta la vita: ai clienti offriamo pagine, con la loro URL specifica indicizzabile dai motori di ricerca, nelle quali poter comunicare i propri messaggi. Tutto qui. Nessuna rete di advertising (AdSense e compagnia) invaderà la navigazione dei lettori con banner scelti in base alle loro abitudini su Internet. Pubblicità “umana”, non diavolerie software. E il bello è, che se il 60% dei nostri lettori legge almeno una pagina contenente messaggi pubblicitari, la nostra scelta paga.

Ma veniamo al punto (grazie Bob)

Lumen, una società di ricerca inglese, ha condotto in gennaio “il primo e più esteso esperimento di eye-tracking al mondo”. La tecnica dell’ eye-tracking, per chi non lo sapesse, consente di “seguire gli occhi” di chi naviga sul web e permette dunque una misura di cosa effettivamente viene visto dal visitatore.

L’esperimento contava su un panel di 300 utenti e registrava, attraverso 35 parametri, la loro attenzione verso più di 3.000 banner pubblicitari su un totale di 28.000 minuti di navigazione web. Quello che l’esperimento voleva studiare era lo sguardo di questi visitatori: cosa guardano effettivamente e per quanto tempo?

L’alchimia delle impressioni

Cominciamo a dire che nel mondo pubblicitario online, quello che le aziende di solito pagano sono le “impressioni”. Come dice Bob, nel senso comune una impressione dovrebbe corrispondere a “una persona che ha visto un banner”. Ma non è affatto così. Lo IAB (l’Interactive Advertising Bureau, la principale associazione di categoria che rappresenta oltre 600 aziende di comunicazione e pubblicità in USA e nella Unione Europea) così definisce una impressione: “..misura della risposta di un Web server alla richiesta di una pagina fatta da un browser”.

I risultati della ricerca Lumen
I risultati della ricerca Lumen

Dunque, non vi è nessuna traccia “umana” in questa definizione, si parla solo di server e browser.
La seconda colonna del grafico risultato dall’esperimento, dice che solo il 54% delle “impressioni” risultano effettivamente “visibili”, ovvero, che quasi metà delle volte il banner non sarà nemmeno visibile. Perché? Per vari motivi: potrebbe non essere stato caricato in tempo, o trovarsi in basso nella pagina dove non è possibile vederlo o ancora, essere solo il fraudolento invio di banner di un solo pixel, che verrà comunque registrato come “..risposta di un Web server alla richiesta di una pagina fatta da un browser”. Questo, o uno di altri mille trucchetti, possono far scattare il conteggio delle impressioni, senza per questo significare che il banner è risultato visibile.

Resta comunque il risultato che quasi la metà dei banner online, per i quali si paga, non sono nemmeno visibili. Vi state già chiedendo perchè mai dovreste pagare per un banner che non è nemmeno visibile? Ma andiamo avanti. Nella terza colonna si dice che solo il 65% dei banner “visibili” risultano poi effettivamente “visti”. Con qualche calcolo matematico, questo significa che solo il 35% del numero totale di impressioni (che sono state pagate tutte) risultano poi in una visione “effettiva” del banner pubblicitario, cioè in qualcuno che ha visto il banner.

Ma non è finita. Di questo 35%, solo il 25% corrisponde a banner “visti” dagli utenti per almeno un secondo. Detto altrimenti, il 75% dei banner tecnicamente “visti” sono stati in realtà “intravisti” (virtualmente visti direi) per meno di un secondo. Infine, solo il 9% delle impressioni hanno prodotto il risultato di una “vista” di durata maggiore di un secondo.

Ma ancora non è finita. Lumen ha condotto l’esperimento esclusivamente su persone reali, esseri umani. Ma il conteggio delle impressioni potrebbe scattare anche per una “richiesta” al server fatta non da umani, ma da software (i cosiddetti bots). Qual è il peso di questi bots sulla conta totale? Secondo autorevoli ricerche, addirittura il 90% delle “richieste” fatte ai Web server proverrebbero da bots e non da essere umani.

Anche ad essere meno tragici e riducendo questa percentuale ad un ottimistico 35%, ciò significa che solo i due terzi di quel 9% può essere attribuito ad un “occhio umano”. Su 100 “impressioni”, dunque, restiamo con 6 visualizzazioni umane del banner per un secondo o più. Traduco: pagando 100 impressioni, si ottengono 6 visualizzazioni del banner (per un secondo o più).

Un altro calcolo ma il risultato non cambia

Ormai siamo avviati con i calcoli e ne propongo un altro, sempre su suggerimento di Bob.
Google afferma che negli Stati Uniti il click rate (percentuale di click) medio sui banner online è pari allo 0.07%. Ovvero, su 10.000 banner si hanno (ben) 7 click.

Ma, tra le altre cose, sappiamo che la metà di questi click non sono intenzionali: quanti di noi non hanno mai fatto clic per errore su un banner? E dunque rimaniamo con 3,5 click reali su 10.000 banner.

Tuttavia, come abbiamo detto in precedenza, dobbiamo tener conto dei bots: almeno un terzo di tali click sono causati da software e non da persone. Quello che ci resta è dunque un click rate effettivo di circa lo 0,02%.

A questo punto uno vorrebbe consolarsi e pensare che, per lo meno, quei 2 click ogni 10.000 banner provengano da persone realmente interessate al contenuto dell’annuncio (prospect?). Ma c’è un’altra brutta notizia: è stato stimato che l’85% dei click sui banner viene effettuato dall’8% della popolazione. In altre parole, da banner-maniaci.

La probabilità che uno di quei 2 click (all’85% proveniente dall’8% degli utenti Internet) corrisponda ad un prospect, cioè ad una persona che rientra proprio nel target che il banner si era dato, possiamo dire che è piuttosto remota?

Due conti

Lo IAB in un report del dicembre 2015 ha quantificato il danno economico subito annualmente dagli inserzionisti in 8,22 miliardi di dollari, dei quali 4,2 miliardi dovuti a traffico “non-umano” e 1,1 miliardi a causa di comportamenti fraudolenti da parte dei venditori dei banner pubblicitari. Un esteso commento a questa “imbarazzante” situazione, da parte di un’altra delle pochi voci fuori dal coro, Samuel Scott, lo si può trovare in un suo articolo su Medium.

Conclusioni

Purtroppo, al di là dei decimali delle statistiche, rimane l’evidenza di un sistema, quello della pubblicità online, volutamente aperto alla fraudolenza ed ai numeri gonfiati, sostenuto da aziende che hanno tutto l’interesse al mantenimento dello status quo e che sfornano dati incontrollabili e risultati inconcludenti.

Da parte nostra, fedeli alle lezioni di Kotler, crediamo che la pubblicità debba informare, persuadere o ricordare. Le nostre pagine advertising sono aperte alla creatività dei messaggi dei nostri clienti e verranno visitate dai nostri lettori (umani) in base alla loro qualità e non perchè un algoritmo ha deciso cosa deve risultare “visualizzato”.

Informazioni su Carlo Bazzo 12 Articoli
Carlo Bazzo è fondatore di Epysoft, sysadmin e network engineer per due multinazionali, talvolta marketing consultant per Xerox, KeyPoint Intelligence, HP. E' contattabile via Linkedin o su Twitter.