
Intervistiamo Ermanno Fugagnoli, musicista e autore di “Afa, una fuga per voce sola”
Ci presenti Ermanno Fugagnoli?
Sono nato e cresciuto a Venezia, e lo sottolineo perché la venezianità entra spesso a far parte di quello che scrivo. Dopo gli studi al Conservatorio della mia città ho intrapreso la carriera musicale come clarinettista. Ho insegnato per diversi anni nei conservatori di Trieste e Bolzano. Dal 1994 sono titolare della cattedra di clarinetto al conservatorio di Venezia. Insieme alla formazione musicale ho sempre coltivato l’interesse per la letteratura, dapprima con molte appassionate letture, poi con la scrittura che è diventata un’attività creativa sempre più radicata negli anni fino alla vincita di importanti concorsi e la successiva pubblicazione.
Il tuo libro più conosciuto è “Afa, una fuga per voce sola”. Ci intriga molto che il titolo faccia riferimento alla Fuga, una delle massime espressioni del contrappunto nella storia della polifonia occidentale. Puoi spiegarci la tua visione dei rapporti tra Fuga, Contrappunto e letteratura?
In quello che scrivo mi riferisco molto alla mia formazione musicale. In “Afa, una fuga per voce sola“, ho cercato una vera e propria applicazione letteraria delle forme musicali con particolare riferimento alla Fuga e al Contrappunto. Di questo ne parlo ampiamente nelle presentazioni in pubblico del libro. In breve direi che cerco la sovrapposizione e stratificazione dei temi così come avviene nel contrappunto. Voci che si rincorrono e intrecciano in un gioco di richiami, imitazioni e variazioni che nella scrittura ottengo con stratagemmi sintattici. In sostanza un effetto ritmico e sonoro che suscita nel lettore l’impressione di sentire emergere dalla pagina lo scorrere di una vocalità polifonica che crea gli stessi impulsi emotivi che si sperimentano nell’ascolto di un brano musicale con un simile andamento costruttivo.
E ci pare di cogliere quasi un ossimoro, nel titolo, tra Fuga, tipicamente per strumenti polifonici, e “per voce sola”. Certo alludi al monologo del protagonista, ce ne vuoi parlare?
Questa domanda è molto appropriata. Afa è il monologo di un conte veneziano. Come è possibile creare la sovrapposizione di più voci se a parlare è un singolo personaggio? Bene, il maestro indiscusso dell’arte del contrappunto è Bach. E’ interessante vedere come Bach riesce anche nei brani per strumento solo, come nelle famose Partite e Sonate per violino o violoncello, che sono strumenti omofonici, ossia che possono eseguire una sola linea melodica per volta, a creare questa sovrapposizione di voci che dialogano tra loro realizzando il cosiddetto contrappunto latente. Nel modo di esporre i temi utilizza dei richiami ad altri temi precedenti, in modo che mentre ascoltiamo una voce ne sentiamo echeggiare un’altra sentita poco prima. Il contrappunto avviene così non nei suoni reali ma nell’orecchio dell’ascoltatore, attraverso un gioco di citazioni che suscitano l’evocazione e la sovrapposizione delle voci. Detto così sembra semplice, è invece complicatissimo farlo rispettando le ferree regole musicali con la maestria e il genio creativo di Bach, nei confronti del quale mi pongo come umile e incantato ammiratore.
Si intuisce anche una tua frequentazione della psicoanalisi e delle sue dinamiche conscio/inconscio: hai avuto esperienze dirette in merito?
Certo sono molto interessato al misterioso e affascinante funzionamento della psiche umana. Per una serie di miei percorsi personali che vanno dallo yoga alla meditazione, dalla psicologia alle filosofie della consapevolezza sono sempre spinto verso una ricerca di espansione conoscitiva che emerge non solo nei temi trattati ma anche nella stessa tecnica di scrittura. Afa è stato tutto scritto attingendo alla tecnica delle scrittura per libera associazione che viene usata in psicologia per far emergere contenuti inconsci. Consiste nel mettersi di fronte alla pagina bianca e scrivere senza mai fermarsi per un certo tempo. Si parte da un tema e poi ci si lascia portare dalle libere associazioni senza esercitare censure né scelte critiche. Dopo un po’ si entra in una specie di trans e si scrive sempre più velocemente senza quasi rendersi conto, come se si stesse sognando ad occhi aperti. Quando si rilegge si rimane stupiti di quello che è venuto fuori, con la netta impressione che sia opera di qualcun altro, qualcuno che parla attraverso di noi. Segue poi una fase di complessa selezione e montaggio, ma la materia prima più interessante e quella che si riesce a scavare nella miniera dell’inconscio.
E come vivi, in questo senso, la tua esperienza con la musica colta? Da un lato – pensiamo proprio al contrappunto, la musica si pone come una delle più alte espressioni della ratio umana; ma d’altra parte il suo valore psicologico ed emotivo, catartico sembra valorizzare il suo potere di rivelazione dell’inconscio
Tutte le arti hanno la stessa radice creativa: la ricerca di una conoscenza che non viene dalla speculazione intellettuale ma dall’intuito e dalla capacità di sentire, anche se nella realizzazione si razionalizzano le tecniche. Sono convinto che anche di fronte alle più straordinarie scoperte scientifiche, il più affascinante e insondabile mistero rimane l’animo umano. L’essenza misteriosa che ci fa quello che siamo. Essenza che viene espressa dall’arte attraverso i secoli molto più intimamente e profondamente che da qualsiasi altra testimonianza. Se non avessimo l’arte delle epoche che ci hanno preceduto, ne sapremmo molto meno.
Esiste in rete, un video di una tua lettura accompagnata da Alfredo Santoloci. Ci vuoi parlare di quell’evento?
Di presentazioni ne ho fatte diverse ma quella di Monterotondo, vicino Roma, è stata una delle più stimolanti per la simpatia e affabilità del pubblico, per il luogo affascinante, per come il mio amico di vecchissima data Alfredo ha saputo valorizzare con le sue improvvisazioni jazzistiche al saxofono le mie letture dal libro. Da quell’esperienza di una settimana passata a Roma, ospite di carissimi parenti insieme a mio figlio Gabriele, è nato una altro libro: Vacanze romane, con il quale nel febbraio 2015 mi sono classificato terzo nel Premio Letterario Casinò di Sanremo Antonio Semeria. Questo romanzo breve è intimamente autobiografico e per ragioni affettive mi piacerebbe potesse trovare un editore con i mezzi per promuoverlo e fargli incontrare il suo pubblico.
Afa sembra molto adatto al teatro, ci hai mai pensato?
Afa è un lavoro che mi ha dato molte soddisfazioni. Nel 1996 ha vinto il primo premio di dieci milioni di lire al concorso Arcangela Todaro Faranda di Bologna assegnato dalla giuria composta da Geno Pampaloni, Gina Lagorio, Emilio Pasquini. E’ stato pubblicato nel 2012 da La Toletta di Venezia e mi ha fatto conoscere nuovi amici che dopo aver letto il libro mi hanno cercato, quasi sempre incuriositi dalla vena di divertita follia che anima il monologo del conte protagonista. In effetti, essendo un monologo improntato ad una spiccata vocalità, potrebbe trovare nel teatro una sua naturale destinazione. Ne ho già tratto un adattamento per il palcoscenico e spero, prima o poi, di vederlo rappresentato.
Cosa puoi dirci del tuo racconto “Il ventre della suocera” ? Qui l’ispirazione pare molto diversa da Afa, una sorta di divertissement?
Il ventre della suocera è precedente ad Afa. E’ stato il primo lavoro che ho portato a pieno compimento. Con il ventre ho elaborato lo stile e la tecnica di scrittura sulle quali ho poi costruito tutto il resto. Come molte opere prime, risente dell’inesperienza ma ha anche dentro l’intensità irripetibile del primo amore con tutte le sue ingenuità e i suoi eccessi. E’ un’ode tra l’ironico e il sarcastico alla potenza satanica della Suocera con la esse maiuscola, archetipo tutto italiano. Se Afa è una passeggiata ariosa e scorrevole come un fuga a più voci, Il ventre della suocera è un andante ostinato pieno di caparbia volizione e veemenza. Ho voluto sperimentarlo nel self publishing in ebook. Per chi fosse interessato è disponibile nei diversi formati sulle piattaforme Amazon e Kobo.
Hai qualche nuovo romanzo all’orizzonte?
Ho già pronto Il passaggio stretto, un romanzo con una trama articolata e ricca di colpi di scena. E’ la storia di due ex compagni di studi al conservatorio di Venezia che si rivedono dopo trent’anni. Con la complicità della nipote ventenne di uno dei due amici, ambigua figura femminile, il protagonista viene coinvolto in situazioni scabrose che ne sconvolgono la tranquilla vita borghese portandolo a conoscere il proprio lato oscuro e criminale. E’ la storia di una discesa al fondo di sé sotto la spinta della passione. Anche questo ambientato a Venezia e con molti riferimenti alla musica.
Concludiamo il nostro incontro con una domanda musicale: come è il tuo rapporto quotidiano con la musica, al di là della professione naturalmente. Subisci anche “contaminazioni” musicali da altri generi?
La musica classica rimane il riferimento principale, ma sono molto interessato alle forme di improvvisazione del jazz e della musica indiana. Quando un musicista improvvisa mette in atto quelle stesse dinamiche delle quali ho parlato in riferimento alla scrittura per libera associazione. Nell’improvvisazione c’è qualcosa che accade al di là del controllo dell’improvvisatore. Nei momenti più riusciti, succede una magia ineffabile che poi rimane a vibrare nella musica registrata, così come in un dipinto o in un libro. E’ l’intuizione creativa che vive non solo nell’improvvisazione ma, anche se in forma diversa, in qualsiasi opera d’arte. E’ l’unica possibile immortalità a portata dell’uomo, quel fremito vitale che rimarrà a pulsare e vivere nell’opera attraverso i secoli, tramandando nel tempo l’intima essenza di quello che siamo a chi verrà dopo di noi.
