La più bella strategia di internazionalizzazione non serve a molto se non è figlia della strategia aziendale e se non è la più rapida possibile. Si sente dire che l’internazionalizzazione, per portare risultati alle imprese, richiede anni.
A parte il fatto che i progetti di internazionalizzazione molto complessi dovrebbero essere divisi in fasi successive, con l’analisi dei risultati alla fine di ogni fase, c’è un piccolo particolare che nessuno pare mai prendere in considerazione:
- la situazione geopolitica cambia, soprattutto nei paesi extra UE (dove va la maggior parte dell’export italiano) e soprattutto in questo momento;
- la rapida mutazione delle condizioni politiche in Medio Oriente ed Africa, nonché nell’Est Europa, dovrebbe avere dimostrato che la rapidità è essenziale.
Ma questa non è l’unica ragione che impone rapidità.
Strategia di internazionalizzazione e strategia aziendale
Accertato che la strategia di internazionalizzazione dovrebbe essere subordinata – e consequenziale – alla strategia aziendale complessiva, ho l’impressione che le strategie di internazionalizzazione tutto siano fuorché strategie; questo è vero in particolare per le PMI.
Fondamentalmente, tali strategie appaiono spesso studiate come elementi indipendenti, più in funzione del mercato che dell’impresa. Del resto, questo prendere in considerazione solo i mercati, i finanziamenti, i fattori legali ed altri aspetti del genere sembra essere la generalità piuttosto che l’eccezione.
Questo costituisce un primo problema, ed anche grave: l’azienda esiste per fare profitto, non per fare internazionalizzazione, e neanche per fare export. Se, ad esempio, l’impresa riesce a fare un buon profitto senza necessità di internazionalizzare, potrà decidere di perseguire una percentuale di fatturato estero abbastanza ridotta per cominciare – questo è un esempio di sana strategia aziendale.
Viceversa, buttarsi a capofitto nell’internazionalizzazione, senza aver prima stabilito gli obiettivi strategici dell’azienda, può portare a vere e proprie catastrofi. E naturalmente, ogni strategia che si rispetti implica una approfondita analisi dei rischi, la quale implica a sua volta un’analisi geopolitica. In ogni caso, i puri calcoli di export non bastano.
Livello operativo e strategie di internazionalizzazione
Supponendo di avere fatto bene i compiti ed avere quindi una solida strategia aziendale, passiamo ora direttamente alla strategia di internazionalizzazione? La risposta è no. Perché?
Perché la strategia d’impresa stabilisce cosa fare, ma NON come farlo. In poche parole, manca un passo intermedio, ovvero quello che Jomini chiamava Grande tattica e che nella organizzazione aziendale viene chiamato “Livello operativo”.
Ovviamente, cominciare ad operare sul campo senza avere definito il come non sarebbe una buona idea. Avendo già deciso a livello strategico luoghi e quote di internazionalizzazione, “il come” includerà le operazioni all’estero. Anzi, ancora meglio, includerà sia le attività domestiche che quelle estere.
Una volta definito tutto questo, è possibile passare alla strategia di internazionalizzazione vera e propria: a questo punto non solo esaa non sarà in conflitto con gli obiettivi dell’impresa, ma sarà anche più facile da delineare, cosa di non poco conto per una PMI.
Ed a questo punto, bisognerà decidere anche i tempi, o meglio, sincronizzarli in funzione dei tempi dell’impresa già stabiliti a livello strategico aziendale.
La rapidità nell’esecuzione
Avendo parlato di tempi ed avendo ricordato quanto velocemente cambino le condizioni geopolitiche, vi possono essere ben pochi dubbi sulla necessità di un’esecuzione la più rapida possibile. Questo è anche un motivo in più per studiare i tempi tecnici dei singoli progetti in modo molto realistico: al di là dei problemi e delle perdite che gli sforamenti dei tempi previsti possono implicare, si corre il rischio che nel frattempo la situazione locale muti anche radicalmente.
Del resto, anche Sun Tzu scriveva, “L’abile guerriero ha quindi una forza formidabile e agisce in tempi brevi. La forza è paragonabile a una balestra tesa, e il tempismo al momento in cui si scocca il colpo”. In altre parole, la rapidità nell’esecuzione è necessaria anche quando non si parla di internazionalizzazione.
Ma Sun Tzu rimarca anche un’altra cosa: prima di partire con la fase operativa, l’impresa deve essere come una balestra tesa. Le operazioni mal studiate o senza una corretta strategia aziendale non ricadono certamente in questa categoria.
Ma allora la domanda che sorge spontanea è: e se non è possibile muoversi abbastanza velocemente? La risposta di Sun Tzu sarebbe stata: muoviti su un altro terreno o cerca un’altra strada. Alla fin fine, tutte le analisi ed i calcoli che vengono fatti servono anche a questo: a cambiare o, se necessario, a fermarsi per tempo.
Se si è proceduto come visto, ovvero partendo dalla strategia aziendale, si potranno fare cambiamenti molto presto, evitando così perdite di tempo, di denaro e i rischi connessi. Viceversa, se si è partiti dalla strategia di internazionalizzazione, magari in pacchetto, ci si accorgerà troppo tardi dell’errore. E comunque, non avendo definito il livello operativo, si incontreranno molte difficoltà estemporanee – ovvero ritardi, spese supplementari ed altre.
Rapidità significa un rush senza fermarsi?
Certo che no! Ho parlato della massima rapidità possibile, non della rapidità fine a sé stessa. Un fattore importante per stabilire i tempi del progetto è che, quando si parla di internazionalizzazione, sarebbe buona cosa ragionare per progetti.
Una delle cose peggiori che si può fare è impostare i tempi di un progetto non sulla base di un’analisi appropriata, ma sulla base di un contratto firmato ovvero prima di avere valutato come si deve fare la cosa. Uno studio di fattibilità adeguato, per cominciare.
Inoltre, un progetto va sempre diviso in fasi manageriali, sia per ragioni di controllo e gestione, sia per ragioni contabili – la liquidità vi interessa, vero? Quindi rapidità non è sinonimo di fretta, che, come si sa, è sempre una pessima consigliera e fa i gattini ciechi.
Siete convinti che i risultati intermedi sono fondamentali per la liquidità, per controllare come va, per il personale, per il cliente, per fare cambiamenti se necessario? E qui torniamo un po’ a quelli che sostengono che per vedere risultati del processo di internazionalizzazione ci vogliono anni: non solo vanno contro la regola fondamentale, ovvero la velocità, ma si dimenticano bellamente di quanto appena esposto.
Del resto, chiunque abbia esperienza di export extra UE (e non solo) sa bene che se i soldini non arrivano abbastanza presto i rischi aumentano a dismisura. Perché mai dovrebbe essere diverso con l’internazionalizzazione?
E la concorrenza? C’è anche all’estero
Anche senza parlare di internazionalizzazione o di export, sappiamo tutti molto bene che più lunghi sono i tempi di esecuzione, maggiore sarà il rischio che la concorrenza sia stata più veloce. Più veloce nel mettere in campo una novità, un nuovo prodotto, un nuovo servizio. Più veloce nell’entrare nel mercato che ci interessa. Più veloce nell’esecuzione a livello di proposta, per cui, a parità di altre condizioni, il cliente probabilmente sceglierà la concorrenza.
Se poi produciamo o costruiamo qualcosa per o all’estero, magari a contenuto tecnologico, sappiamo bene cosa può significare un prodotto studiato per uno specifico mercato e relative condizioni ambientali, per poi ritrovarci con un pugno di mosche.
Che soddisfazione c’è nell’investire risorse su una nuova auto 4×4 che possa operare in un certo paese, pregustando lauti guadagni… e poi magari un’impresa locale propone un rifacimento di surplus militari ad un costo che è un quarto del nostro, e soprattutto sei mesi prima? E magari non si tratta solo di export in un lontano paese extra UE, ma anche di avere approntato un impianto di montaggio in quel paese.
Certo, come già rimarcato, non bisogna mai essere frettolosi. Ma il più rapidi possibile sì!
Siete ora convinti che la rapidità passa innanzitutto attraverso la una strategia aziendale adeguata ed un robusto livello operativo, che precedono la strategia di internazionalizzazione?
Dave Righetto
Export manager e programme manager presso Righetconsult, Dave non si definisce evangelista di qualcosa, anche se oggigiorno tutti si definiscono tali; preferisce definirsi studioso o addirittura studente, perche’ tutti devono imparare qualcosa. I suoi articoli su internazionalizzazione, strategia, strategia aziendale e geopolitica si trovano sul suo blog – Export OK. Ha sempre approfondito la strategia a tutti i livelli, approfondendo la storia e meditando sulle opere che vanno dalla Cina antica ad oggi. Ha fatto internazionalizzazione ante-litteram vivendo e lavorando a lungo sul campo in giro per il mondo. Ha imparato grazie all’esperienza ed all’impegno, e si dava da fare in paesi come l’Algeria quando era una questione di scelta di vita. Appassionato di montagna, si diletta organizzando convegni e tenendo corsi presso l’Ordine degli Ingegneri di Padova. Ha organizzato per la FOIV (Federazione degli Ordini degli Ingegneri del Veneto) il convegno Come fare internazionalizzazione nella pratica, con i patrocini della SACE, di Unioncamere Veneto e dell’Ordine degli Ingegneri di Venezia. Collabora con l’Ascom di Padova: fornisce consulenze di internazionalizzazione per le imprese, in particolare sugli aspetti geopolitici.