La fotografia è essenzialmente
una questione personale:
la ricerca di una verità interiore.
Inge Morath
La discrezione nello sguardo.
L’intuizione della scena.
L’umiltà nell’avvicinarsi all’altro.
Sono questi i tratti che caratterizzano Inge Morath, le sue fotografie e la sua vita. Lo ha spiegato in modo chiaro e con passione Kurt Kaindl, uno dei tre curatori della mostra Inge Morath. La vita. La fotografia., durante il vernissage, e ha potuto esprimerlo con forza grazie alla frequentazione, sua e della moglie, della fotografa; titolari di una galleria a Salisburgo, i Kaindl incontrano la Morath nel 1990 e iniziano una fruttuosa collaborazione con lei, promuovendo mostre, lavorando a pubblicazioni che potessero portare al grande pubblico il lavoro attento e sensibile della fotografa austriaca, scatti del passato e nuovi progetti. La sensazione che lo spettatore percepisce nel percorso espositivo è la cura nei particolari dedicati alla vita di questa donna, oltre che alla sua produzione, a conferma di quanto dichiara Marco Minuz, co-curatore assieme a Kurt Kaindl e Brigitte Blüm: «il progetto desidera descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo inserire nella fotografia la sua sensibilità verso l’essere umano».
Inge Morath nasce a Graz, in Austria, nel 1923; traduttrice e giornalista, inizia a scrivere i testi per i reportage dell’amico fotografo Ernst Haans; è una amicizia importante, sia dal punto di vista personale sia professionale, poiché la porterà a collaborare, su invito di Robert Capa, con l’agenzia Magnum Photos a Parigi in qualità di redattrice e ricercatrice. La precisione nella ricerca e la sua curiosità l’accompagnano in un percorso che trasforma la scrittura in grafia per immagini, strumento per raccontare ciò che il cuore sente e l’occhio cattura, come lei stessa afferma nei confronti della fotografia «è un fenomeno strano: ti fidi del tuo occhio ma non puoi evitare di mettere a nudo la tua anima». Nel 1953 la Morath entra a far parte dell’agenzia Magnum, è un evento eccezionale in quegli anni, è la prima donna fotografa dell’agenzia, i fondatori che la coinvolgono vedono in lei competenze professionali e qualità umane.
L’interesse e l’umiltà nell’apprendere, così come la determinazione e la brillantezza intellettuale portano la Morath a essere l’assistente di Henri Cartier-Bresson tra il 1953 e il 1954; l’incontro con un grande maestro e una grande allieva risulterà determinante nel percorso professionale della Morath, sia per la scelta tematica che per la composizione della scena. Gli anni successivi sono dedicati ai primi viaggi in Europa, Nord Africa e Medio Oriente, paesi che visita con dedizione, studiando anche la lingua per muoversi più facilmente nei luoghi e tra le persone (la Morath parlava correntemente inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e mandarino). La sua fotografa predilige due grandi contesti, quello intimo del ritratto e quello della scoperta di luoghi e di popoli, alimentata dalla sua passione per il viaggiare. Come spiegano i curatori, «che si tratti di raccontare paesaggi e Paesi, persone o situazioni, le sue foto sono sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circonda».
Aneddoti
Inge Morath trascorre quattro anni a Venezia, accompagnando il primo marito che vi soggiornava per lavoro. Kaindl racconta le confidenze della fotografa: «avevo molto tempo a disposizione durante il giorno e così passeggiavo per le calli veneziane, finché l’amico Ernst Haans mi disse “fotografa!” e cominciai a uscire sempre con la macchina fotografica in tasca, scattavo una fotografia ogni qualvolta i miei occhi notavano una scena che voleva essere raccontata». Negli anni del dopoguerra la città lagunare vive, dal punto di vista culturale, un periodo di grande rinnovamento e fermento: Peggy Guggenheim acquista nel 1948 Palazzo Venier dove porta le sue collezioni e l’anno successivo lo apre al pubblico, le numerose gallerie d’arte sono frequentate da artisti internazionali e la corrente del surrealismo traccia nuovi percorsi artistici e intellettuali; è questo il clima che la Morath respira e che le permette di definire il suo stile: la scelta del bianco e nero e l’attenzione per le linee.
Nel 1960 Arthur Miller sta lavorando alla sceneggiatura del film The Misfits (Gli spostati) per la regia di John Houston, attori protagonisti Clark Gable, Marilyn Monroe e Montgomery Clift, e invita Henri Cartier-Bresson a fotografare alcune scene delle riprese. Cartier-Bresson accetta e chiede alla Morath di accompagnarlo negli Stati Uniti per quell’incarico che durerà un paio di settimane. È ancora Kaindl a ricordare le parole della Morath «finito il lavoro Henri mi disse: visto che siamo qui, perché non viaggiamo per un po’ a vedere questo Paese?».
Arthur Miller cercò Inge Morath quando lei era già rientrata in Europa, nel 1962 volò a Parigi, si sposarono e trascorsero assieme i successivi cinquant’anni.
Quanto tempo serve per fare una foto? “Quello che serve” risponderebbe Inge Morath. Nella prossima foto è stata ritratta mentre aspetta per ore la luce adatta allo scatto che lei ha immaginato, mentre viaggia lungo il Danubio. Il militare che l’accompagna le presta il cappotto per proteggerla dal freddo all’imbrunire.
Amore per la letteratura: chi è Eveleigh Nash, ritratta nella foto che segue? Questa donna fondò la Eveleigh Nash & Grayson Ltd., casa editrice inglese, con sede a Londra, che pubblicò tra il 1921 e il 1926 quattro romanzi di Arthur Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, (Rodney Stone, The Refugees, The Hound of the Baskervilles, The Lost World).
La mostra
Casa dei Carraresi accoglie la prima retrospettiva italiana dedicata alla fotografa, confermandosi come uno dei centri culturali di spicco, per qualità e competenza, della città di Treviso e del panorama italiano. La mostra è prodotta da Suazes e Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.
Il percorso espositivo propone una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti che delineano la vita personale e lavorativa di questa donna “umilmente straordinaria”; la mostra è l’evidente risultato di un progetto accurato, mirato a far emergere l’umanità che incarna tutta la produzione della fotografa, mostrando una sensibilità intellettuale e artistica segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà, diventando una testimonianza della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e della consapevolezza del valore della vita.
Il percorso si apre con una serie di fotografie che ritraggono la Morath in differenti contesti, mostrano la casa-studio in cui lei e Miller vissero a Roxbury, nel Connecticut.
Seguono tutti i principali reportage: Venezia, Spagna, Iran, Stati Uniti, Francia, Romania, Austria, Russia e Cina. Ogni progetto di viaggio e ogni incontro venivano da lei preparato con cura maniacale e grazie alla sua conoscenza di diverse lingue straniere, riuscì ad analizzare in profondità ogni situazione, di entrare in contatto diretto e profondo con la gente.
Due sale sono allestite per dare spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, Friedrich Dürrenmatt, Alan Ginsberg e Philip Roth, poeti come Pablo Neruda, artisti e amici come Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder -suo vicino di casa- oltre che quello del marito. Uno spazio è riservato all’illustratore rumeno Saul Steinberg e ai ritratti ‘mascherati’, nati dalla collaborazione di Inge Morath con il disegnatore.
Ecco perché non possiamo limitarci a considerarla una fotografa “della Magnum”, lei è cresciuta nell’agenzia ma ha sviluppato un percorso parallelo e personale in cui emerge la necessità fotografica, come esigenza personale prima ancora di quella professionale. Le fotografie realizzate durante i viaggi così come i ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una brillante attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti.
Marco Minuz, già curatore di della mostra dedicata a Elliott Erwitt, ha inaugurato negli spazi di Casa dei Carraresi una nuova stagione dedicata alla fotografia e noi restiamo in attesa di scoprire quali saranno i nuovi progetti.
Informazioni utili
La mostra sarà visitabile fino al 9 giugno 2019.
Biglietti: Intero, 11 euro; ridotto, -valido per studenti fino ai 26 anni, famiglie, enti convenzionati, gruppi min. 10 persone-, 8 euro.
Entrata gratuita per under 6 anni, giornalisti e guide turistiche con tesserino, disabili non autosufficienti con accompagnatore.
Open saltacoda: 12 euro.
Orari
dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 19.00
sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 20.00
lunedì aperto solo con prenotazione gruppo
Immagine di copertina: Lama vicino a Time Square, New York, 1957 © Fotohof archive/Inge Morath/Magnum Photo