I solitari, quindici ritratti dalla penna di Davide Bregola

I solitati. Scrittori appartati d'Italia di Davide Bregola | Oligo editore

I solitari. Scrittori appartati d’Italia, per la collana I saggi di Oligo Editore, è una spassoso, acuta e preziosa raccolta di tavolette in cui la scrittura di Davide Bregola prende forma di quadro e ci restituisce un libro in forma di galleria di ritratti, alcuni caravaggeschi, altri fiamminghi e altri ancora un po’ impressionisti, macchiaioli e futuristi.

I suoi brevi racconti narrano degli incontri, in modalità variabile, con quattro scrittrici e undici scrittori italiani finiti chissà dove, come dice lui, quando in realtà lui sa bene dove sono, li ha scovati, ma sono dimenticati dalla memoria dei più.

Apre la raccolta Gavino Ledda, autore di Padre padrone, tradotto in tutto il mondo senza essere mai uscito dal suo piccolo mondo, e così Bregola prende un volo per la Sardegna e va a incontrarlo. Francesco Permunian è uno che pensa siano importanti le radici letterarie perché a volte fare un passo indietro significa farne due in avanti, e lui di passi ne ha fatti e di libri ne ha scritti, ma il suo nome non suona familiare. Susanna Bissoli ha scritto una raccolta di racconti e un romanzo e poi nulla, né delle sue parole né di lei, ma i motivi per leggere quei due scritti Bregola li spiega bene. Vincenzo Pardini, per il quale l’autore chiede un Meridiano Mondadori. Rocco Brindisi e la sua capacità di raccontare storie e persone di cui non si sa quasi nulla. Stefano Benni: come mai è sparito dai radar? Carmen Covito scrittrice e traduttrice, acuta descrittrice di dettagli essenziali. Vitaliano Trevisan noto per i suoi scritti ma appartato per scelta e severità –agli incontri non te ne faceva passare una-. E poi, perché Lara Cardella non pubblica da anni? C’è Giovanni Lindo Ferretti, cantante, paroliere dei CCCP e scrittore. Ugo Cornia, lo sbigolato che pare semplice invece il suo sguardo è difficilissimo. Aldo Busi, stessa domanda posta per la Cardella. E poi lo scrittore con l’intercalare più lungo della storia della letteratura: Roberto Barbolini. Non può mancare Gianni Celati, che in Italia non vive più, d’altronde ha camminato molto, ha bisogno forse di altri paesaggi. Infine, Grazia Verasani, scrittrice bolognese prima in assoluto ad avere creato un’investigatrice privata con il personaggio Giorgia Cantini, che preferisce stare dietro le quinte.

Gli aneddoti raccontati da Bregola sono delle polaroid da attaccare alla parete e decidere, in ordine di simpatia o affinità, da quale iniziare la lettura per scoprire alcuni tratti di scrittori solitari, voci di valore della nostra letteratura contemporanea, che esula dai canoni delle graduatorie e richiede una buona dose di curiosità e di ricerca.

Intervista

Se non fossero (o fossero stati) così distanti dal palcoscenico mediatico, I solitari riuscirebbero a scrivere con la stessa qualità di stile e di contenuto?

I solitari e le solitarie che ho preso in considerazione hanno la particolarità di essere scrittrici e scrittori con caratteristiche molto diverse tra loro. Ci sono ritratti a scrittori appartati per una naturale propensione alla solitudine, altri invece sono solitari perché devono ancora emergere per la qualità che rappresentano, altri ancora tornati ad essere solitari dopo successi clamorosi. Se dovessi fare un nome per ognuna delle tre tipologie, direi: Francesco Permunian, Susanna Bissoli, Gavino Ledda. Secondo me essere lontani dai radar li rende dannatamente seducenti e liberi.

C’è un tratto comune, oltre a essere scrittori appartati, che lega queste solitarie voci italiane?

Ci sono diversi tratti comuni. Prima di tutto ho fatto 15 ritratti ad altrettanti scrittori italiani viventi. Sono tutti scrittori e scrittrici in attività, che scrivono, magari pubblicano poco, ma scrivono ancora con una certa attitudine lontana dal mercato editoriale. Inoltre sono scrittrici e scrittori che hanno pubblicato per piccole o grandi case editrici. Per esempio Vincenzo Pardini ha pubblicato per Mondadori, IlSaggiatore ma anche con Pequod e Theoria. Oppure Grazia Verasani che ha pubblicato indifferentemente per piccoli e grandi editori come Marsilio o Sironi editore. Questo per dire che la qualità non è necessariamente concentrata sui grandi marchi editoriali. Anzi, è bello, da lettore, essere un esploratore e trovare perle.

Tale curiosità vale solo per gli italiani o ne hai scovati anche di stranieri?

Siccome mi sono concentrato su scrittori italiani che ho conosciuto e frequentato in varie occasioni, mi sono orientato su questa particolarità. Volevo rappresentare in modo epico la vita e le opere di scrittori e scrittrici che in un modo o nell’altro hanno colpito il mio immaginario. Volevo scrivere un libro omogeneo, che avesse la peculiarità di parlare di opere e scrittori la cui lingua madre fosse l’italiano. Ho in mente un altro progetto che forse vedrà la luce se riuscirò a tenere il tono e la scrittura giusta. Sarà un progetto in cui c’entreranno scrittori stranieri che pure ho conosciuto, presentato, con cui ho parlato a lungo. Per esempio i primi che mi vengono in mente sono Tahar Ben Jelloun e Björn Larsson, quello de “La vera storia del pirata Long John Silver”. Ma la lista sarebbe lunga ed entusiasmante.

Cos’è per te la scrittura?

Recentemente ho letto di Georgi Gospodinov che dice “Scrivo per addomesticare le mie paure…”. Altri scrittori che dicono di scrivere per vivere eccetera. Leggo le loro affermazioni e mi sento un po’ superficiale e inadeguato perché alzano veramente tanto la posta in gioco. Sarò un superficialone, ma personalmente non darei la vita per la scrittura e non voglio addomesticare le mie paure, anche perché sono paure molto comuni, credo. Per me la scrittura è una delle più alte forme di comunicazione. Una delle tante. Sono molto democratico nella mia idea perché c’è chi comunica attraverso la fotografia, chi lo fa con il cinema, chi con la pittura o l’illustrazione, chi con la danza o con uno strumento musicale, chi con uno sport o la graphic novel… non darei una concezione “Finalistica” alla scrittura. Nessuna supremazia. A me appassiona, ma capisco anche le persone disinteressate a questa forma d’arte. Nessuna anabasi. Nessuna catabasi. Grande possibilità di migliorare il nostro sguardo. Quello sì.

Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, serie Paesaggio italiano 1980-1922 © Archivio Luigi Ghirri

Un’altra tua passione: come e quando nasce l’idea di scrivere narrativa per l’infanzia?

Avevo dei miti personali: Collodi, Lina Schwarz. Ma questo fin da piccolo. E siccome ho sempre visto e letto libri bellissimi illustrati per bambini, volevo partecipare e intrufolarmi in mezzo a tanta bellezza. Da ragazzo ero in redazione di una rivista di arte per bambini chiamata Dada e mi sarebbe piaciuto avere una bella idea, una bella storia per bimbi. Non mi è mai venuta e allora ho ripiegato su lavori compilativi di filastrocche, ninnenanne, girotondi, conte. Sono raccolte di studi vari e alla fine sono liste di cose trovate in giro. Poco altro, originale, direttamente scritto da me. Ma cose di poco conto. Aspetto ancora che mi arrivi la bella storia, ma dal mondo delle idee non mi è ancora giunto nulla.

Ci sono nuovi progetti in corso?

Ho due progetti, due idee che però sono ancora in discussione. Non ho firmato nessun contratto anche se gli editori li danno per assodati. Posso solo dire che occuperanno uno il 2022 e uno il 2023 e riguarderanno la narrativa e la forma spuria del ritratto così come si legge nel libro “I Solitari”. C’è che sono pure superstizioso e quindi più di così non posso dire. Diciamo che quello del 2022 l’ho già scritto. Quello del 2023 è in fase di stesura.

Poi, mia curiosità, come hai scelto degli autori per il passaggio dalla rubrica al libro?

La rubrica “I solitari” prevedeva 20 autori suddivisi in 10 scrittrici e 10 scrittori. Usciva regolarmente ogni mercoledì sulle pagine culturali de Il Giornale. Nel frattempo scrivevo ritratti di scrittori che non venivano inclusi nella rubrica, però non so perché nel 2020 e 2021 bastava una madeline per fare sgorgare una narrazione dedicata a libri letti e autori conosciuti di persona. Quando mi veniva in mente qualcuno automaticamente sgorgava la storia. Nel libro sono stati inclusi tutti i ritratti di scrittori e cinque dei dieci ritratti di scrittrici perché quando è uscito il libro la rubrica sul quotidiano era ancora in corso. Ho inserito uno o due ritratti inediti, come quello della passeggiata fatta con Gianni Celati, e avevo visto che c’era un equilibrio interno. Andava bene così come l’hanno pubblicato. Confortato dai lettori che attendevano il mercoledì per leggere un nuovo ritratto, mi sono detto che meglio di così non riuscivo a fare.

Stima (in quanto autori) e affetto (in quanto solitari) sembrano fondersi e perdere ogni confine, è così?

Ecco sì, penso sia emerso un misto tra pietas umana e compatimento con ognuno degli scrittori di cui ho parlato. Conosco la fatica, le aspettative, i decorsi di chi scrive, e non posso certo gioire né essere invidioso. Nemmeno provare invidia di chi tra gli scrittori di cui ho parlato ha venduto milioni di copie e ha raggiunto anche solo per un po’ la fama. Per carità, sono lontanissimo dall’idea di marketing e di popolarità. Sono lontanissimo dall’idea di invidiare un altro essere umano. Per cui confrontandomi con loro, leggendoli, rileggendoli, scoprendoli, non ho potuto che provare una sorta di immedesimazione sana, o anche insana, perché no? Volevo descrivere la grandezza e la miseria, tutte umane, di chi oggi fa una roba molto obsoleta, di poca o nulla importanza per l’andamento mondiale della collettività. Penso agli scrittori come a esseri che per caratteristiche proprie o attitudine fanno una cosa obsoleta e abbastanza inutile: inventare storie e scriverle. Prendere storie e scriverle. Farsi suggestionare da biografie e scrivere, riscrivere le cose dell’umanità. Sembra inconcepibile, tra milioni di individui le cui vite sembrano andare da tutt’altra parte. Eppure, indefessi, gli scrittori e le scrittrici continuano.

Per me paradossalmente la figura dello scrittore e della scrittrice è la più interessante del momento perché è ignorata, è per pochi, è insensata, ma per nulla inflazionata. Se la si guarda con l’occhio pragmatico di chi produce altri tipi di immaginario, come per esempio gli inventori di APP o i creatori di videogiochi, si comprende appieno la risibile influenza che può avere il romanzo rispetto a una serie tv o all’impatto di una partita di calcio, o alla forza d’attrazione dei primi 5 videogiochi più utilizzati dalla gente. Eppure proprio per questo, come un testardo artigiano che continua magari a fare scarpe a mano, a tagliare stoffa per fare vestiti su misura, un muratore che conosce bene i materiali da utilizzare per fare bene una casa, lo scrittore scrive. E io amo questa convenzione che chiamiamo scrittura perché è un’arte lontana dall’attenzione mediatica e per me questo è un fatto pieno di potenzialità in divenire. Fossi un head hunter ci scommetterei sull’immaginario di una scrittrice e di uno scrittore.

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Cliccando qui racconto come ho incontrato questo scrittore.

Informazioni su Chiara Stival 115 Articoli
Chiara Stival è curatrice dei canali arte e cultura per Italiandirectory e copywriter per i contenuti web e social media di alcuni clienti del magazine. Promotrice di eventi artistici e rassegne letterarie, è stata editor della collana Quaderni di Indoasiatica per passione e formazione universitaria dedicata all’India. Il suo blog è chiarastival.com, potete visitare il suo profilo su Linkedin, Facebook e Instagram.