
Dal 7 al 10 settembre 2016 all’Università di Trento si è parlato delle difficoltà che ostacolano i giovani durante l’ascesa verso il mondo del lavoro.
Tra i temi in discussione: l’equilibrio tra studio e lavoro, il valore di un dottorato di ricerca, le differenze etniche e il loro peso nell’ingresso del mondo del lavoro e nella scelta degli studi, il precariato lavorativo e le condizioni in cui questo diventa una trappola piuttosto che un’opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, le questioni alla base della formazione delle famiglie, la relazione tra mobilità e opportunità lavorative, la disoccupazione dei giovani sovraqualificati, l’organizzazione del lavoro all’interno delle giovani coppie e il ruolo del background e delle origini sociali della famiglia nel determinare le opportunità educative e lavorative dei giovani.
La disoccupazione giovanile è uno dei temi che alimentano i principali dibattiti di natura politica, sociale ed economica nel mondo, in Europa e in particolare nel nostro Paese, dove la mancanza di lavoro è un problema percepito con frustrazione e risentimento dalla maggior parte delle persone. Non è quindi un caso che l’organizzazione European Research Network on Transitions in Youth (TIY), che studia l’immissione dei giovani nel mondo del lavoro a livello europeo, abbia scelto proprio il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento come sede della 24^ edizione del suo convegno annuale.
Tutti i temi affrontati durante la conferenza – estesa a livello internazionale – rimandano allo stretto legame che esiste tra studio e lavoro e in particolare al “confine” che li separa. Secondo la maggior parte dei sociologi che hanno preso parte alla realizzazione dell’evento, tra cui Paolo Barbieri, Giampiero Passaretta e Stefani Scherer dell’Università di Trento, il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro è reso sempre più complicato a causa del cambiamento strutturale avvenuto all’interno della nostra società, che col tempo ha perso la sua natura strettamente industriale: oggi infatti, la transizione verso l’età adulta non avviene soltanto iniziando a lavorare, ma può anche essere rappresentata da una convivenza o dalla nascita di un figlio; ormai non esiste più un momento preciso nel quale si diventa adulti, ed è proprio questa situazione di incertezza a renderci più vulnerabili e ad alimentare le nostre insicurezze rispetto al futuro.
Spesso, chi immagina per sé un percorso che non comprende l’università viene svalutato in partenza, in casi opposti sono invece i giovani sovra qualificati a non essere apprezzati dalle aziende e a ritrovarsi disoccupati nonostante l’elevato grado di competenza; proprio per questo i giovani – in particolare la fascia compresa tra i 18 e i 29 anni di età- investono sempre meno nello studio e preferiscono accontentarsi di una qualsiasi occupazione che li renda almeno in parte indipendenti dai genitori.
Le tensioni lavorative – e sociali – accumulatesi nel tempo, hanno generato a loro volta altri fenomeni, secondari ma ugualmente allarmanti, come la così detta “fuga di cervelli”: da quando, a partire dall’ultimo decennio, molti giovani hanno deciso di trasferirsi all’estero per terminare gli studi o addirittura avviare la propria carriera, ci viene ripetuto che qui in Italia non c’è più spazio per la nostra generazione: la convinzione che questo sia destinato a diventare un “Paese per vecchi” rischia di diventare un pericoloso luogo comune.
Noi, quella parte di ragazzi che ancora frequenta le scuole superiori, siamo perciò assaliti dall’ansia di trovare un lavoro che soddisfi le nostre esigenze e le aspettative che involontariamente costruiamo nella nostra mente, con riferimento allo stile di vita che desideriamo per noi stessi; senza contare il senso di responsabilità che proviamo verso ciò che la nostra famiglia e la società si aspetta da noi.
Ci sentiamo in dovere di trovare un buon impiego e creare una famiglia, quasi dovessimo seguire uno “schema” che in realtà nemmeno ci appartiene, e ci impedisce di avere il controllo sulla nostra vita ed essere davvero soddisfatti di noi stessi. Questo accade, certo, se ci abituiamo ad affrontare in modo passivo quello che ci accade; la sfida, in questo momento di difficoltà, è proprio riuscire a cogliere e sfruttare tutti i generi di opportunità, trovare soluzioni alternative, agire con intelligenza, stupire; ma, soprattutto, continuare a credere nel proprio potenziale. Ed io, con tutta l’ingenuità dei miei 16 anni, ancora ci voglio credere per un po’.
Il programma completo del convegno, con maggiori informazioni sui lavori delle varie sessioni, è disponibile sul sito web della conferenza.