Diverso. Inusuale. Controverso.
Così è Francis Bacon. La mostra, allo stesso modo, si può descrivere con questi tre aggettivi e queste sono anche le tre caratteristiche che dipingono il volto del pittore, che ci viene introdotto dal prof. Paolo Crepet il quale, pur essendo noto psichiatra e scrittore, qui si pone come cultore d’arte… ma si sa, a volte le passioni si possono mescolare.
Ci incontriamo nello spazio che anticipa la salita al primo piano di Ca’ dei Carraresi, dove è ospitata l’esposizione “FRANCIS BACON. Un viaggio nei mille volti dell’uomo moderno”, aperta fino al 1° maggio 2017. L’obiettivo che si è proposto il comitato scientifico di Kornice è quello di mettere in luce la storia di una collezione poco conosciuta e controversa di opere “italiane” del pittore, definite italiane perché costituiscono i disegni e una serie di collage che Bacon produsse durante i soggiorni nel nostro Paese e che poi donò all’amico Cristiano Lovatelli Ravarino. La cura della mostra è stata affidata a Edward Lucie-Smith affiancato da Giulia Zandonadi; lui è poeta, critico e storico dell’arte, una personalità di indubbio rilievo internazionale che apre l’esposizione con un video proiettato nella prima sala, lei è una giovane storica dell’arte e scrittrice trevigiana, referente del progetto scientifico di Kornice assieme al titolare Andrea Brunello.
L’intero percorso espositivo appare come una riflessione sulla coscienza e sull’esistenza dell’essere umano, provocata dalla ripetizione quasi maniacale di ritratti, in cui Bacon cerca costantemente, addirittura febbrilmente, un senso o una ragione, un tentativo continuo di rispondere all’antica domanda «chi sono io?». Egli assurge qui come simbolo di quel viaggio nei mille volti dell’uomo moderno. Inoltre, gli ideatori hanno affiancato alla collezione Cristiano Lovatelli Ravarino altre opere di considerevole valore; alcune sono di Maestri che furono fonte di ispirazione per il pittore irlandese, come Leonardo e Michelangelo (esposti i disegni “Caricature” e “Giovane nudo seduto”) oppure Rembrandt con il dipinto “Bue macellato”, altre opere, invece, sono una voce di confronto come l’opera di Emilio Vedova “Ciclo 1962 B5” e altre ancora che, proprio dalla irrequietezza di Bacon, sviluppano il loro pathos, come il contemporaneo Roberto Ferri nella sua opera “Figura in trasformazione”. Il visitatore resterà certamente sopraffatto dall’intensità e dalla profondità del legame che intercorre tra queste opere: suggestione che potrà essere colta solo permettendo che l’impatto visivo diventi impatto emotivo.
Alla fine del percorso c’è uno spazio dedicato agli approfondimenti e alle evidenze scientifiche e legali che accompagnano questa collezione: a parlarne è la testimonianza dell’avvocato penalista Umberto Guerini, il cui lavoro di ricerca è presentato anche nel catalogo della mostra. Il nocciolo della questione (oltre che prevalentemente economico) vede dibattersi due schieramenti, quello che non conferma l’autenticità dei disegni perché “Bacon non disegnava” e quello che considera tale affermazione una beffa: nonostante si sia ritenuto per anni che il pittore non disegnasse, oggi sappiamo che «egli disegnava ovunque, come fanno e hanno sempre fatto i pittori» scrive Guerini nell’articolo, confermato dalle parole del curatore Lucie Smith che aggiunge «… negli ultimi quindici anni della sua vita, […] il disegno diventa sempre di più un “altro” mezzo per sperimentare la sua arte».
Ma veniamo a noi e al nostro ospite: ci accomodiamo nei divani a disquisire di arte, prima di visitare assieme le stanze che accolgono uno dei pittori più dannati e discussi della Londra del Novecento; la premessa chiesta al prof. Crepet è quella di viaggiare alla ricerca del potere dell’arte che consideriamo essere un’espressione sublime, che conduce ad un livello superiore all’analisi mentale, evitando il più possibile cadute psicanalitiche. Con nostra sorpresa egli si adatta con soddisfazione alla richiesta, poiché lui stesso si definisce “uno psichiatra rubato all’arte” e non è una velleità: ci racconta, infatti, di avere trascorso molto tempo della sua infanzia con i nonni che erano artisti, diplomati all’Accademia delle Belle Arti agli inizi del secolo scorso, crescendo così attorniato da amici artisti e opere d’arte e ascoltando lezioni sul colore invece delle favole. Ecco perché, più di tutto, egli è un collezionista e un amante dell’arte.
Iniziamo ora la passeggiata alla scoperta delle opere del pittore irlandese: disegni, solo matita su carta, oppure collage creati dall’artista e di nuovo disegni carichi di colore, una collezione indubbiamente differente dalla produzione più nota e anche per questo molto discussa dagli addetti ai lavori. Così cominciano le domande che ci accompagnano dentro gli spazi bui e suggestivi della mostra.
Perché lei dichiara che l’arte nasce dal dolore?
Perché: lei ha mai visto un’opera d’arte nascere dalla comodità? Nei divani di casa si rischia la demenza, si riduce la capacità di pensare, il senso critico viene annientato e la tecnologia, se subita e non usata, amplifica tutto ciò. Talento e fragilità, questi sono due ingredienti necessari alla nascita di un’opera d’arte poiché una maggiore sofferenza provoca una maggiore creatività. Penso che se Van Gogh fosse vissuto nell’epoca degli psicofarmaci probabilmente non si sarebbe suicidato, ma con la stessa probabilità le sue tele sarebbero rimaste bianche; allo stesso modo se Francis Bacon fosse stato accettato dal padre per ciò che era, cosa avrebbe prodotto? Diversamente, cioè quello che è veramente accaduto, l’incomprensione per la sua omosessualità e la perdita del compagno suicida hanno determinato in lui dolore e rabbia che si sono trasferiti, urlanti di sofferenza e angoscia, nei suoi dipinti e nei disegni che vedremo in questa passeggiata nell’animo inquieto di quest’uomo.
Ogni mostra porta in sé un mistero: cosa cela Bacon in queste opere?
Non c’è dubbio che egli giocasse costantemente con se stesso: autoironico e autodistruttivo. Il mistero qui è composto dal gioco e dai dubbi e, guarda caso, la parte finale della mostra -con grattacapi legali- ha il sapore di un intrigo internazionale. In realtà è proprio l’artista Francis Bacon un mistero in sé perché egli sfugge a qualsiasi tipo di definizione: egli non si cura minimamente di compiacere, non mette filtri, vuole provocare irrequietezza per destare l’uomo moderno. È come se disegnasse un “uomo senza pelle” con l’obiettivo preciso di far nascere nello spettatore l’anticorpo per la stupidità.
Cosa intende per “uomo senza pelle”?
Bacon è consapevole che l’arte è messaggera e quindi utilizza la sua arte per mostrare ciò che egli vede, senza che ci siano veli protettivi: la pelle e il corpo sono l’involucro dell’anima, allora lui scarnifica e presenta l’uomo per ciò che è. L’inconscio non è clemente con l’uomo, conduce all’abisso, si può tornare solo quando -e se- subentra la razionalità, così da placare le emozioni ed essere in grado di gestirle. In Bacon non c’è razionalità perché è stata da lui completamente cancellata: consideri che la severità del padre si manifestava particolarmente nell’ordine e nelle regole imposte, perciò egli ha cercato fin dall’inizio il suo opposto, scegliendo una vita nel caos e quelle linee curve, quei cerchi che sono la base grafica dei suoi disegni, sono metafora visiva di un palloncino che si gonfia a contatto col male del mondo. Proprio per questo motivo è come se le figure fossero ritratte un attimo prima della loro implosione: le reazioni che si hanno davanti a queste opere sono spesso emozioni forti, quasi fossero un’esplosione incontrollabile di sentimenti, e ciò avviene perché quelle opere sono il frutto della loro implosione nell’animo tormentato dell’artista.
Quindi, quando si legge che agli inizi Bacon è stato anche interior design, con interior si intende “interiore” e non “d’interni”?
Curiosa questa definizione, non trova? Egli è stato sempre un disegnatore dell’interiore cioè dell’animo umano. Se poi vogliamo definirlo anche come “architetto d’interni”, allora basti pensare al suo studio (in mostra ci sono alcune fotografie) che è la prova di una straordinaria, dolorosa, profonda e costante coerenza verso se stesso. Questo è uno dei motivi per cui Bacon è stato un artista insolito: nonostante tutto non si è mai piegato di fronte a nulla se non alla sua sofferenza. Tenga conto, inoltre, che le sue origini irlandesi incidono profondamente nella sua personalità perché sono quelle di un popolo di mare, di gente “che lascia”, che parte ma non sempre torna… ha presente quel retrogusto amaro della musica tipica dei popoli naviganti? Ecco, tutto ciò ritorna in lui e diventa un velo trasparente che permea la sua opera. D’altra parte, quanti altri artisti le vengono in mente che distruggono le proprie tele?
Autodistruttivo e per nulla narcisista?
Per nulla. Guardi questi autoritratti: non trasmettono il sentimento di una persona felice né che si compiace di sé o del proprio lavoro, sebbene già dagli anni Sessanta il suo successo era internazionale ma egli non sapeva che farsene del successo e della ricchezza. In questi lavori si nota in modo piuttosto evidente la potenza trasmessa dai ritratti di altri uomini a dispetto dell’impotenza dell’autoritratto, in cui egli si traccia in una maniera quasi scimmiesca. I suoi disegni sono come radiografie a raggi X, non sono opere estetiche ma il risultato di un’anima uscita dal frullatore. Vede, al di là che Francis Bacon possa piacere o meno, un dato di fatto è indiscutibile: egli non smise mai la sua ricerca introspettiva e non mise limiti al dolore pur di giungere all’espressione massima del suo sentire. Come uomo e come amante dell’arte credo che in ciascuno di noi debba crescere quel desiderio di indicare una via diversa, Bacon l’ha fatto a modo suo.
Se Francis Bacon e Amedeo Modigliani si fossero incontrati, cosa avrebbero detto dei “loro occhi”?
Occhi, specchio dell’anima… Bacon valorizza gli occhi all’opposto di Modigliani che li toglie, essi hanno percorsi interiori differenti, ma forse li possiamo immaginare seduti al tavolino di una locanda, con un bicchiere di buon vino in mano e Modigliani che apre la discussione affermando che ogni artista dovrebbe essere strabico, cosicché un occhio guardi dentro di sé e l’altro continui ad osservare il mondo fuori di sé; allora Bacon accoglierebbe la provocazione, rispondendo pronto a smontare la teoria con l’assunto per cui all’artista è sufficiente un occhio solo: nulla importa di ciò che sta fuori, il suo unico vero interesse è la ricerca interiore, anche quando diventa espressione di ogni nefandezza e incongruità. Sebbene entrambi considerino il mondo esterno come un crogiuolo di sofferenza, l’esito della loro arte si esprime con canoni quasi opposti: volti dalle linee allungate rispetto alla curvità, oppure occhi sottili, vuoti e oscuri per il pittore italiano piuttosto di quelli dell’irlandese che diventano enormi e dilatati. Penso che per lui il corpo assomigli all’anima ed è molto grave, un fardello.
Questa gravità è marcata da un attento utilizzo dei colori. Cosa rappresentano per lui? Sono una gabbia o una via di fuga?
L’irrequieta e irritante intelligenza di Bacon non lascia nulla al caso: ci sono due stili di colore in questi disegni, quello dello sfondo e quello del soggetto. Il primo, generalmente monocromatico può apparire statico, un fondale piatto per far emergere la figura, mentre improvvisamente diventa la gabbia entro cui l’uomo moderno si sta dolcemente abituando a vivere. Diverso è lo stile del colore del soggetto che diventa dominante, ogni tono spezzato indica l’esercizio immediato di una forza sulla zona corrispondente del corpo o della testa, rendendola immediatamente visibile. È come se la modulazione del colore non consistesse solo nei rapporti di caldo-freddo, di espansione-contrazione o di esplosione-implosione, ma l’artista riuscisse a amplificare la forza espressa nella sua opera proprio nell’utilizzo dei colori, nei rapporti fra sfondo e soggetto e negli accordi fra toni puri e toni spezzati. Penso che l’uomo e artista Francis Bacon non abbia mai voluto fuggire, affrontando piuttosto la sua gabbia di dolore; l’arte è stata certamente la salvezza per la sua anima, perché nella ricerca delle forme e dei colori egli riusciva a trovare una sorta di equilibrio e di beato silenzio temporaneo.
L’arte è diversità pura, perché la fanno i diversi. Egli è diverso e la sua arte esprime al meglio la diversità: egli ritrova se stesso solo ed esclusivamente trasformandosi.
Grazie per la passeggiata e per questa intervista.
Mi considero un creatore di immagini.
Entro appena in queste visioni come se si fossero colate in me… Penso sempre a me stesso più come un medium, per accidente o per azzardo, che come pittore…
Non credo di avere talento, credo di essere solo ricettivo.
Francis Bacon
Nel catalogo “Francis Bacon. Un viaggio nei mille volti dell’uomo moderno” troverete ulteriori informazioni e particolarità negli articoli di:
Edward Lucie-Smith, Francis Bacon: ha mai disegnato?
Cristiano Lovatelli Ravarino, Francis Bacon alla roulette sbancava anche la morte
Umberto Guerini, Questi disegni sono ribellione e amore
Paolo Crepet, L’odore della polvere
Giulia Zandonadi, Un ponte tra le forme del vero
Vernissage e ufficio stampa Giuliamaria Dotto.