I fantasmi non esistono | Racconto di Anna Maria Masucci

I fantasmi non esistono racconto Anna Maria Masucci

Ingenuità e timori si mescolano nei rapporti famigliari. Parole, silenzi e gesti raccontati sullo sfondo di una giornata al mare.

I fantasmi non esistono ma talvolta si ha l’impressione contraria, sembra si nascondano proprio nella nostra mente. Buona lettura.

I fantasmi non esistono

«A Camilla piace costruire castelli di sabbia», dico rivolto alla videocamera che Emma, mia moglie, o meglio la mia ex moglie, tiene in mano come fosse un oggetto misterioso. “La mia ex moglie”, mi è ancora difficile considerarla tale. Lei ride, si è accorta di non aver tolto il copriobiettivo. In effetti anche a me scappa da ridere, ma sapendo quanto è permalosa, mi guardo bene dal farlo. È tutto tremendamente assurdo. Mi limito ad annuire, la rassicuro dicendo che sono cose che capitano a chi non ha troppa confidenza con uno strumento. Lei mette giù la videocamera, si stringe la braccia intorno al corpo, come se avesse freddo e dice: «Sai cosa? Credo che sia meglio fare foto». Di fatto la vedo più a suo agio con in mano lo smartphone. Mi chiedo, quando è stata l’ultima volta che ci siamo parlati davvero.

Camilla si gira verso sua madre, le fa la linguaccia e si mette in posa. Devo mettere un freno alla felicità, abbiamo solo accontentato nostra figlia. L’idea di passare una giornata tutti e tre assieme al mare è stata sua.

«Papà, mamma. Guardate!», urla Camilla e, con quel modo tutto suo di arricciare il naso, sventola i palmi imbrattati.

«Che brava!», dico e le indico la paletta. Lei mi guarda indecisa sul da farsi, fa cenno di no con la testa e riaffonda le mani nella sabbia.

L’acqua fluisce e si ritira inquieta portando via con se parte del castello. Mia figlia si tira su e sconsolata allarga le braccia.

«Cos’hai?».

«Uffa! Il mare è cattivo, mi fa i dispetti», sbuffa seria.

Raccolgo la palla e la lancio nell’acqua schiumosa, lei la ignora. «Papà, papà», piagnucola con gli occhi puntati su quello che rimane del suo lavoro. Se non trovo il modo di distrarla, terrà il broncio chissà per quanto tempo.

«Che ne dici, facciamo il bagno?», interviene Emma prendendola in braccio. Camilla si dimena: «No, no, non voglio». Emma si arrende e la lascia scendere. Lei corre verso di me e con le braccia mi si attacca alle gambe. «Dai, non fare arrabbiare la mamma», dico dandole un buffetto sulla guancia. «Voglio il gelato, papà», risponde strofinandosi il naso sul dorso della mano. Gli occhi grandi e chiari sono gli stessi di sua madre che mi guarda contrariata. Rimango indeciso sul da farsi, alla fine cedo, la prendo per mano e ci avviamo al bar seguiti a distanza da Emma.

Seduti al tavolino, mia figlia fissa la spiaggia. Non riesco a fare a meno di guardarla. Vederla solo nei fine settimana, mi pesa ogni giorno di più. Il gelato le si sta sciogliendo, le cola lungo la mano, ma sembra non importargliene. «Il mare è cattivo, il mare è cattivo, il mare è…», cantilena con la sua vocina acuta e con la mano sudicia si scosta una ciocca di capelli dalla fronte. Poi prende a dondolarsi sulla sedia e ciò che resta del gelato le cade sulle gambe. «La smetti! Hai visto cosa hai combinato?», dice Emma innervosita. Camilla si mette le manine sulla bocca per coprire la risata. Prendo un tovagliolo e mi affretto a pulirle le gambe. «Lascia perdere, faccio io», dice Emma, strappandomelo dalle mani. «È sempre colpa tua. Gliele dai tutte vinte». L’astio nella voce mi lascia senza parole. Mi accingo a malincuore a mettere da parte la parentesi di felicità e, per amore di Camilla, mi preparo a subire. «Sei sempre pronto a esaudire ogni suo piccolo desiderio. Ma capisci che così la vizi?».

Nostra figlia si irrigidisce: «Scusa mamma». Gli occhi le si fanno lucidi. «Su Camilla non piangere che torniamo in spiaggia. Vero mamma?», dico per sdrammatizzare. Sono stanco, la bambina non c’entra con i nostri problemi. Emma fa un cenno distratto con la testa, si toglie le infradito, sbadiglia e inizia a muovere i piedi su e giù. Con gli occhi incollati al cellulare, finge di passare in rassegna le foto. Svogliata, raccoglie i capelli neri in uno chignon, il viso è ancora quello di un tempo, un ovale perfetto. Il modo con cui i suoi occhi chiari mi fissano mi mette addosso una senso di impotenza. E come se a un tratto mi fossi arreso. D’istinto appoggio la mano sulla sua, sotto la leggera pressione delle mie dita il suo disappunto è palpabile. Pentito, per aver cercato quel contatto, tiro via la mano.

Squilla il telefono, Emma alza la testa di scatto, la sua faccia si illumina. Più la guardo e più mi rendo conto che la amo ancora, nonostante tutto. Indugia nel rispondere, le tremano le mani.

«Scusami, devo andare», dice e baciando Camilla sulla testa: «A stasera, fai la brava, mi raccomando». Mi viene voglia di trattenerla, invece rimango a guardare le sue spalle nude, striate di sabbia che si allontanano. Lo sapevo, lo aveva capito da un pezzo che c’è un altro nella sua vita.

«Non ti piace il gelato?», chiedo a Camilla. Mi sforzo di sorridere per mascherare il nervosismo. Lei scuote le spalle. «Ma è vero papà che nei castelli ci sono i fantasmi?».

«Camilla, i fantasmi non esistono», rispondo scompigliandole i capelli. «Che dici andiamo? Potremmo ricostruire il castello. Ma senza fantasmi», aggiungo. Lei si allunga sul tavolino, mi dà un bacio sulla guancia e guardandomi seria, mi sussurra all’orecchio: «Papà, la mamma ha detto che faremo un lungo viaggio, ma è un segreto». Il respiro mi si fa irregolare al pensiero che Emma possa portarmela via.

Sprofondo in una rabbia che a malapena controllo. Spingo con forza la sedia dove era seduta Emma, facendola cadere. È tutto talmente assurdo che non mi rendo conto di aver spaventato mia figlia che, rattrappita su se stessa, se ne sta con gli occhi chiusi. Mi alzo di scatto e, maledicendo il mio cuore, che non vuole smetterla di fare baccano, l’abbraccio forte. Qualunque cosa dovesse succedere, per lei non sarò mai un fantasma, i fantasmi non esistono.

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Immagine di copertina dal web.

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