COVID-19: non basta comunicare i dati del test
Una ricerca dell’Università di Trento ha rivelato difficoltà nella popolazione a interpretare in modo corretto i dati del test molecolare su tampone nasofaringeo, lo strumento più impiegato per diagnosticare l’infezione da SARS-CoV-2, più comunerete chiamata COVID-19.
La pandemia di Covid-19 ha posto i test al centro dei pensieri e delle azioni della gente. La loro diffusione capillare è stata raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è ormai una realtà in moltissimi paesi: svariate migliaia di individui vengono testati ogni giorno e orientano i loro comportamenti e le loro decisioni sulla base degli esiti che ricevono.
Tuttavia, attualmente, la conoscenza su come le persone interpretano i risultati dei test diagnostici è molto limitata: In che misura sono considerati accurati ed esercitano un’influenza sui ragionamenti e sui comportamenti delle persone?
Per la prima volta, uno studio ha affrontato queste e altre domande attraverso l’analisi delle stime del valore predittivo di un risultato positivo (ossia la probabilità di avere l’infezione se positivi al test) o negativo (cioè la probabilità di non avere l’infezione se negativi al test), le stime degli errori diagnostici (ovvero la percentuale di falsi positivi e negativi) nonché l’interpretazione degli stessi, l’impatto comportamentale dei risultati, e l’utilità percepita di una ripetizione a breve termine del test.
Katya Tentori e Stefania Pighin, rispettivamente professoressa e ricercatrice del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento, hanno coinvolto quali partecipanti del loro studio 566 persone, ben distribuite sul territorio nazionale, residenti dall’Alto Adige alla Sicilia, e bilanciate per genere e livello di istruzione.
Si è così scoperto, per esempio, che malgrado le persone siano consapevoli della rilevanza di informazioni quali la localizzazione geografica e l’eventuale presenza di sintomi compatibili con Covid-19, non riescono poi a tenerle in considerazione quando interpretano i risultati del test.
Ciò significa che, di fronte a un certo esito, la stima della probabilità di avere l’infezione non viene aggiornata a seconda che la persona sottoposta al test provenga o meno da una zona ad alto rischio o presenti o meno dei sintomi compatibili con il virus.
Si è inoltre scoperto che le persone sovrastimano la possibilità di un errore diagnostico quando ricevono un risultato positivo, ma la sottostimano se il risultato è negativo.
E ancora, che le persone pensano sia più utile ripetere il test a breve termine se si è ricevuto un esito positivo piuttosto che uno negativo, quando invece i dati scientifici suggerirebbero il contrario.
Alla luce di tutto ciò, le studiose dell’Università di Trento auspicano un’azione di educazione rivolta alla popolazione in modo da aiutarla a meglio comprendere i risultati dei test e a metterli in relazione in modo corretto con i loro comportamenti.
Osservano, infatti, come alla capillare diffusione dei tamponi non sia per ora corrisposta un’adeguata informazione su come interpretarne i risultati.
«Crediamo sia fondamentale aiutare la popolazione a comprendere appieno il significato e le implicazioni comportamentali dei risultati dei test a cui si sottopongono, per facilitare un utilizzo più corretto e, in ultima analisi, consapevole di questi importantissimi strumenti diagnostici, anche per evitare spiacevoli conseguenze sul piano personale e nel rapporto con le istituzioni» affermano Stefania Pighin e Katya Tentori.
Quindi concludono: «I test di massa svolgono senza alcun dubbio un ruolo importante nella raccolta di informazioni epidemiologiche e nella gestione delle pandemie, ma non va dimenticato che hanno anche effetti a livello individuale, influenzando i comportamenti e le decisioni di chi si sottopone a tali test.
Non è difficile immaginare come un fraintendimento sostanziale dei loro risultati possa avere delle conseguenze rilevanti in termini di salute pubblica e benessere dei cittadini. Ad esempio, la sistematica sottostima dei falsi negativi potrebbe portare a trascurare le precauzioni e, in caso di sviluppo successivo di sintomi, potrebbe diminuire la fiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie.
Analogamente, la confusione sull’utilità di una ripetizione a breve termine del test dopo un risultato positivo potrebbe dar luogo a un eccessivo ricorso ai test anche quando non necessario, con tutte le gravi conseguenze che questo comporterebbe sul piano organizzativo».
L’articolo
L’articolo, dal titolo “Public’s understanding of swab test results for SARS-CoV-2: An online behavioural experiment during the April 2020 lockdown”, è stato scritto da Stefania Pighin e Katya Tentori del Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento (CIMeC).