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Quante volte usiamo detti popolari, saggezze antiche condensate in una breve frase? Giandomenico è il bizzarro protagonista del racconto di Diego Tonini, che si pone un quesito sul significato di un proverbio come fosse una teoria scientifica e cerca le prove della sua validità.
La scelta dello stile narrativo è efficace per caratterizzare il personaggio principale e contrapporlo al personaggio che incontrerà, la storia si svolge in un luogo qualunque, una domenica mattina. Buona lettura!
CHI VA CON LO ZOPPO…
A Giandomenico piaceva osservare il mondo dalla finestra. Quella mattina, nel giorno che corrispondeva al suo nome, stava con i gomiti appoggiati sul davanzale e rifletteva su cibernetica, produzione di vetro float e vecchi proverbi, mentre i pochi passanti attraversavano il suo campo visivo senza che si desse la pena di metterli a fuoco.
Come una rana immobile in attesa della preda, registrava solo i loro movimenti, segnali elettrici che attraversavano il nervo ottico e si perdevano nelle circonvoluzioni della corteccia visiva, mentre il suo io cosciente era troppo impegnato nel trovare la risposta a una domanda per prestare loro attenzione: perché chi va con lo zoppo dovrebbe imparare a zoppicare?
La contagiosità della zoppia strideva con gli schemi logici di Giandomenico, che tuttavia non se la sentiva di ignorare a cuor leggero ciò che l’antica saggezza popolare aveva tramandato. Così profondamente assorto nelle implicazioni filosofiche del suo dilemma, quasi non si accorse dell’inopinata comparsa di un’evidenza sperimentale che poteva estrarlo dalle sabbie dell’incertezza.
La prova si presentò claudicando al margine destro dell’area di osservazione, incedendo con la velocità che la sua menomazione gli permetteva.
«Eureka!» esclamò Giandomenico, memore dei suoi studi classici e, posseduto dall’urgenza dello sperimentatore, abbandonò l’abituale punto di osservazione per incontrare il suo test di verifica.
Spalancò il portone di casa, attraversò il giardino e si precipitò in strada per presentarsi al soggetto che il caso gli aveva così gentilmente procurato. Appena affannato per il breve scatto, si parò con la mano tesa davanti all’uomo ed esordì: «Buongiorno, il mio nome è Giandomenico e sono un osservatore delle cose del mondo.»
L’altro aggrottò di poco le sopracciglia, piegò la testa e accettò la stretta di mano.
«Buongiorno a te, curioso modo di presentarti hai. Io sono Antonio.»
Giandomenico non comprese cosa ci fosse di peculiare nel suo essere educato, ma continuò senza mostrare la sua perplessità: «Le creerebbe disturbo se la accompagnassi nel suo cammino? Potrà intimarmi di andarmene non appena si stancasse della mia compagnia.»
L’uomo si strinse nelle spalle. «Non ho molti amici e passeggio spesso solo, quindi perché no?»
Giandomenico sorrise soddisfatto.
«Solo» proseguì l’altro, «non mi muovo molto veloce, sai, questa gamba…» si percosse la coscia sinistra con la mano aperta.
Il sorriso di Giandomenico si fece più ampio.
«Ma è proprio per questo che gradirei accompagnarla.»
La smorfia di Antonio tradiva sorpresa, incomprensione e una nota di fastidio.
«In che senso?»
«Vede, signore, come le ho detto io sono un osservatore» si incamminarono, «uno di coloro che tempi addietro erano chiamati filosofi naturali» l’uomo sembrava sempre più perplesso, «e accadde che proprio stamani mi ritrovassi a riflettere sulla veridicità di quanto trasmessoci dai nostri avi.»
L’uomo si fermò, con disappunto di Giandomenico che dovette a sua volta arrestarsi.
«È stanco? Desidera riposare qualche minuto?»
«No, no, continua, dimmi» rispose quello, riprendendo a camminare.
Giandomenico si strinse nelle spalle, imputando le stranezze di quello sconosciuto collegate in qualche modo alla sua condizione deambulatoria e riproponendosi di studiare anche quell’aspetto una volta risolta la questione del proverbio.
«In particolare mi chiedevo quanto ci fosse di vero nel vecchio adagio chi va con lo zoppo impara a zoppicare.»
Antonio si bloccò: «Mi stai prendendo per il culo?»
Anche Giandomenico si fermò e con gli occhi spalancati rispose: «No, per quale motivo dovrei? E, scusi se mi permetto, ma il suo non mi sembra un linguaggio consono.»
L’uomo fissò Giandomenico per un buon minuto senza parlare, esplorando tutta la gamma di espressioni che il suo volto gli concedeva, si passò la mano sugli occhi e scoppiò a ridere.
«Va bene, se davvero stai pensando sta cazzata, vieni pure con me» esclamò, «ma stammi dietro eh? Che non voglio aspettarti!» Rise ancora più fragorosamente.
Giandomenico lo vide allontanarsi lentamente, con l’andatura sghemba e le spalle che sussultavano per le vestigia della risata non sopita. Si affrettò quel tanto che bastava per rimettersi al suo fianco.
Che persona volgare e indisponente, pensò, ma è l’unico materiale che ho a disposizione, quanto dovrei aspettare per trovarne un altro?
Camminavano l’uno accanto all’altro, l’aria era piacevolmente fresca e il sole non troppo cocente, il tempo ideale per fare conversazione, ma Antonio non profferiva parola.
Capisco perché afferma di non avere molti amici, commentò tra sé Giandomenico mentre osservava l’incedere dell’uomo.
Andarono avanti in quel modo per circa mezz’ora, Antonio col suo passo e Giandomenico che cercava di non superarlo; uno rinchiuso nel suo mutismo, l’altro intento a notare ogni movimento dell’uomo.
«Sono portato a ritenere che il proverbio non corrisponda al vero» commentò con tono da esperto l’osservatore, troppo intento ai risultati della sua analisi per accorgersi di aver parlato a voce alta.
L’altro lo squadrò e proruppe nuovamente nella sua sonora risata. Giandomenico lo guardò con fare risentito.
«Ah sì?» disse Antonio, «eppure mi sembra di notare un leggero strascicamento della tua gamba sinistra» indicò col mento.
L’altro si fermò. «Dice? Io non me ne sono avveduto.»
L’uomo scosse la testa con un sorriso sornione dipinto sul volto. «Perché se ci pensi non lo fai! Strani scherzi gioca la mente, eh?»
Giandomenico non riteneva la sua mente così burlona, ma concesse all’uomo il beneficio del dubbio.
«Vuole proseguire?» chiese.
Antonio annuì.
Ripresero il cammino, con Giandomenico che si sforzava di non focalizzarsi sull’andatura, di non introdurre artefatti nel suo esperimento, di concentrarsi solo sul mantenere il passo del suo compagno. E si accorse che non era più così difficile.
«Ehi, aspetti un momento!» esclamò, senza fermarsi questa volta, «mi sembra di mantenere il passo con grande facilità, ora.»
Antonio emise una specie di schiocco con la lingua e puntò il dito verso la gamba di Giandomenico.
«Sai, chi va con lo zoppo…»
«Impara a zoppicare» chiosò l’altro.
Ancora una volta l’antica saggezza popolare aveva provato la sua validità.
Immagine di copertina © Ph. Francesca Zanette
Diego Tonini è autore anche del racconto Flusso di Autocoscienza in Retromarcia, uno dei 12 finalisti del concorso “Figuracce” e di tre libri Non Chiamatemi Vincent, Nella botte piccola ci sta il vino cattivo e Storie di Okkervill: Il Nano Cornuto, l’Elfo Ubriaco e il Drago fifone.