Ci sono libri che si imprimono nella memoria non solo per le parole che si leggono, ma per una sorta di risveglio sensoriale che producono in noi. I libri hanno un odore, come scrive Annie François, una alchimia olfattiva tra la carta, l’inchiostro e la colla, perché i libri si toccano e si guardano, diventando un preciso ricordo. Indubbiamente la carta gioca un ruolo essenziale in tutto questo apporto di informazioni che attraverso la vista giungono all’archivio della mente.
Così, questo breve articolo rende omaggio ad alcuni libri che narrano storie di persone che attorno al mondo cartaceo hanno vissuto la loro vita, a volte mera quotidianità lavorativa, altre volte avventure impensabili e altre volte ancora hanno usato il pretesto della carta per velare di leggerezza e poesia pensieri profondi rivolti all’animo umano.
In tutto questo processo di ricordi e connessioni, parole e citazioni, le copertine sgualcite e l’odore di alcune vecchie edizioni, non possiamo che aggiungere le immagi art vs. recycling di Raffaello Bassotto come naturale corredo alle nostre riflessioni.
Due diverse forme di linguaggio che testimoniano una ricerca. La vita della carta nel suo ciclo e ri-ciclo: carta velina, carta da lettere, carta da zucchero, carta da pacchi, cartoncino e cartone, carta nuova, carta da macero, carta pressata… parole stampate e buttate, conti e ricevute, fumetti e quotidiani, riviste, romanzi e saggi. Quanta storia, poi, si aggiunge nascosta fra i fogli: una dedica, un nome scarabocchiato, un biglietto del cinema, una cartolina illustrata, un invito a una mostra, un ritaglio di giornale, una pubblicità colorata, uno scontrino del supermercato e poi …solo spazzatura???
Andiamo a ritroso per svelare i link di questo percorso: ciò da cui questi pensieri hanno avuto inizio è il libro Un amore di carta, di Jean-Paul Didierlaurent. Fin dalle prime pagine ci ricorda uno dei capolavori di Bohumil Hrabal, quindi ci incuriosisce malgrado un filo di diffidenza (è possibile che assomigli davvero al romanzo dello scrittore ceco?) pone un distacco dalle righe delle pagine che si fanno leggere con facilità. La storia è anomala e inverosimile al punto tale da superare il paradosso e diventare vera e reale, così anche il lettore attende l’indomani per salire nella metropolitana parigina e ascoltare un nuovo stralcio di racconto. Allora quel cauto filamento di circospezione si scioglie e si trasforma in passione, simile a quella che vent’anni fa ci aveva avvinghiato alle riflessioni di Hrabal in Una solitudine troppo rumorosa, di cui riportiamo -come segno di affetto incondizionato- le righe iniziali:
Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in quegli anni avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché quando io leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari.
Dopo queste insuperabili parole, che ci risuonano come fossero una poesia e non l’inizio di un romanzo, affiorano alla mente anche altre veloci connessioni, racconti che con questa entità chiamata Carta hanno avuto a che fare. Ovvio, direte, tutti i libri di fatto ci possono ricondurre all’universo cartaceo, che ci auguriamo sia destinato a tramontare con molta più lentezza e testardaggine di quanto ci sia dato da credere (senza nulla togliere alla nuova sfera dell’e-book), ma alcuni di più.
Ecco allora che i romanzi di Hrabal e Didierlaurent sono stati il pretesto per cercare altri libri che si prestano a raccogliere “storie di carta”. C’è quello della scrittrice francese Annie François di cui ricordiamo, sempre in La lettrice, anche una brillante insurrezione contro il codice a barre che “abbassa quegli oggetti [i libri], piccoli e grandi, consueti o lussuosi, al rango di merce. Ora, il libro, ai miei occhi, non dovrebbe essere una merce. Schiumo di rabbia nel vederlo sconciato da quella saracinesca che deturpa il retro di copertina, esibisce il trionfo dei «ragionieri», senza concessioni all’estetica. Mi si obietterà che è lo stesso per il profumo o i pannolini. Certo che no. Il codice a barre, c’è, è vero, ma sull’imballaggio. Sui libri è incrostato nella pelle. Crudelmente.”
E possiamo non nominare Il nome della rosa? Proprio in questi giorni abbiamo sentito alla radio l’intervista a Roberto Cotroneo che ricordava Umberto Eco in un incontro prima dell’uscita del romanzo, quando il semiologo-filosofo d’Alessandria dubitava del successo di un libro ambientato in un monastero benedettino dell’Italia settentrionale durante il Medioevo. Il Professore era ignaro (forse) che quel romanzo sarebbe diventato un best seller, segnando l’inizio di un periodo in cui la narrazione storica, mista al genere giallo e con numerosi, a volte celati, riferimenti filosofici, trova l’interesse del vasto pubblico. E null’altro serve aggiungere al romanzo che, si stima, abbia venduto più di 50 milioni di copie ed è tradotto in 40 lingue.
A nostro gusto, decisamente personale e soggettivo, si possono inserire altri due libri che si immergono e onorano il mondo della carta nelle sue numerose sfaccettature: L’ombra del vento di Carlos Louis Zafòn e Firmino. Avventure di un parassita metropolitano, di Sam Savage. Il primo (primo anche della trilogia dello scrittore spagnolo) vede come protagonista Daniel Sempere, voce narrante del romanzo, all’alba del suo undicesimo compleanno, quando viene accompagnato dal padre al “Cimitero dei Libri Dimenticati”, nome evocativo di una gigantesca biblioteca nella quale sono conservati milioni di libri e lui potrà scegliere di adottarne uno: L’ombra del vento, appunto, di Julian Carax. Da quel momento la storia personale di Daniel verrà sconvolta dai vari parallelismi che riconoscerà tra la sua vita e quella dell’autore… perché “i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito”.
Il romanzo dello statunitense Sam Savage che, in un’intervista, rispose alla domanda “come nasce questo libro?” dicendo che quando cominciò a scrivere Firmino non sapeva nemmeno che Firmino fosse un topo, né che fosse a Boston, né che fosse un romanzo; invece Firmino è diventato il titolo del romanzo pubblicato in Italia nel 2008, ambientato a Boston e il cui protagonista è proprio un topo! E cosa fanno i topi? Mangiano (di tutto) i libri delle librerie e delle biblioteche. Ma Firmino è un roditore d’eccezione perché alla scoperta di tanto ben di Dio dapprima si lascia guidare solo dal gusto, ma nel momento in cui cominciò a leggere “qua e là, lungo i bordi dei miei pasti” qualcosa in lui si modifica, la carta avvia uno strano processo fisiologico che, col passare del tempo, trasforma il roditore in lettore, al punto che “più leggevo tanto meno masticavo” fino al quando cominciò a dedicare “quasi tutte le ore di veglia alla lettura, masticando solo nei ritagli di tempo”.
Non possiamo, però, chiudere l’articolo senza nominare Città di carta di John Green, libro che negli ultimi anni ha coinvolto e appassionato la nuova generazione del XXI secolo, italiana e internazionale, e con cui l’autore vinse il premio Edgar Award 2009 come miglior romanzo per ragazzi. Due i temi simbolici che accompagnano la narrazione e che permettono ai lettori adolescenti di sentirsi vicini alle esperienze dei protagonisti: i “fili” e le “persone di carta”.
I fili rappresentano la costituzione di ogni persona, una sorta di trama e ordito, come se gli essere umani fossero dei tappeti, se ben intrecciati sostengono una lunga vita, se mal tessuti rischiano di disgregarsi, mettendo in moto quello strano meccanismo per cui più fili si spezzano, più se ne spezzeranno. Come fare allora a cucirli assieme? Forse, la conseguenza più evidente della rottura di tali filamenti si evidenzia in quelle persone di carta che vivono in città di carta, non luoghi segnati in una carta topografia ma paesi inesistenti. Come spiega Margo, personaggio principale del libro:
È una città di carta. Guardala, Q: guarda tutti quei viottoli, quelle strade che girano su se stesse, quelle case che sono state costruite per cadere a pezzi. Tutte quelle persone di carta che vivono in città di carta, che si bruciano il futuro pur di scaldarsi. Tutti quei ragazzini di carta che bevono birra che qualche cretino ha comprato loro in qualche discount di carta. Tutti rimbambiti dalla frenesia di possedere cose. Cose sottili e fragili come carta. E tutti altrettanto sottili e fragili. Ho vissuto qui per diciotto anni e non ho mai incontrato qualcuno che si preoccupasse delle cose che contano davvero.
Nel 2015 è uscito nelle sale l’omonimo film diretto da Jake Schreier. Buona lettura!
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