«L’arte, che un tempo era privilegio di pochi uomini sta diventando una espressione possibile a ciascuno di noi?
Si sta riducendo positivamente la distanza tra l’artista e l’uomo normale?»
Bruno Munari, in Artista e designer, 1971.
Queste due domande, che il poliedrico artista si pose oltre 40’anni fa, suonano più che mai attuali. Sono quesiti che dimostrano quanto la produzione di Munari si spinse ben oltre le sue opere artistiche per indagare, con altrettanta ricchezza e lucidità, sulle implicazioni teoriche e sulla ricerca di metodologie oggettive e trasmissibili, che avessero come obiettivo ultimo quello di porre chiunque nella condizione di comprendere i processi creativi e avvalersene in prima persona.
Bruno Munari: aria | terra è una nuova mostra dedicata all’uomo che nella riflessione sulle nuove responsabilità che l’avvento della società di massa affida agli artisti, propone un modello rivoluzionario in cui le ambizioni individualistiche vengono superate per mettere il proprio talento al servizio della collettività. Il concept dell’esposizione e il relativo saggio sono curati da Guido Bartorelli che intende così apportare un contributo significativo all’acquisizione storico-critica dell’eredità munariana, riconoscendola come manifestazione apripista di valori e obiettivi che animano tuttora la ricerca intorno alla ridefinizione del concetto di arte.
La mostra è promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio Onlus, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova e l’Associazione Bruno Munari, e sarà visitabile dal 9 aprile al 5 novembre 2017, nella sede di Palazzo Pretorio a Cittadella (PD), con inaugurazione sabato 8 aprile alle ore 18.00.
Se è risaputo quanto il diorama artistico di Bruno Munari appaia come un eccezionale complesso di pittura, scultura, sperimentazioni nelle tecniche più varie e innovative, e ancora grafica, design, editoria, fino a giungere a quella dedizione verso i laboratori per bambini, in cui va riconosciuto un precoce superamento dell’opera d’arte chiusa a favore della fluente processualità del fare, cosa ha determinato, quindi, la scelta delle opere che accompagnano il percorso espositivo? Come spiega Guido Bartorelli, «la scelta del materiale da esporre si è basata su due nozioni, aria e terra, sufficientemente orientate verso certi valori piuttosto che altri, e allo stesso tempo in grado di suggerire una semantica ampia, tanto più che si prestano a essere incrementate per via di metafora. Inoltre, aria e terra sono qui intese in relazione dialettica: giustapposte ma imprescindibili l’una all’altra come i poli di un magnete».
Ecco, allora, che la visita a Palazzo Pretorio offre al pubblico un percorso originale sull’opera di Bruno Munari, che consente sia di apprezzarne i caratteri peculiari al cospetto dei capolavori, sia di fruire la mostra come occasione per apprendere attraverso il fare, secondo le intenzioni dichiarate dallo stesso artista. Munari si è sempre preoccupato che il suo lavoro fosse di stimolo al fare, in modo che il fruitore, opportunamente guidato, potesse penetrare le regole tecniche e creative, acquisendo nuove competenze di presupposto alla conquista della capacità di reinventare. Come l’artista stesso ribadiva, musei e mostre dovrebbero pertanto prevedere «dimostrazioni visive di tecniche d’arte» (Da cosa nasce cosa, 1981), ossia esemplificazioni di attività che consentano ai visitatori di testare nel concreto i procedimenti da cui sono scaturite le opere esposte. Nel rispetto di questo concetto, le stanze del fare non vanno intese come un’appendice didattica ma bensì come parte integrante dell’opera, in quanto le attività sono opere vere e proprie progettate dall’artista. Munari mette in questione l’opera d’arte chiusa (unica, irripetibile, intangibile…) e sperimenta invece, con straordinario anticipo, quell’opera come processo che tanta parte avrà nelle tendenze successive. Processo, fluidità, relazione, interattività, sinergia con il fruitore: sono questi i concetti fondanti l’arte di Munari e su cui la mostra pone particolare attenzione.
Guido Bartorelli sottolinea che l’elemento aria e l’elemento terra rappresentano quei «due opposti tra cui collocare il mondo intero dell’artista», ed è proprio per questo che nel percorrere le stanze del museo, «si cerca almeno di far intuire il senso del tutto, ossia della portata totalizzante dell’opera-mondo munariana. Del resto Munari stesso si è avvalso molte volte di antinomie: concavo-convesso, negativo-positivo, e poi regola e caso e così via fino all’ammirazione per lo Yang-Yin, simbolo orientale dell’unità formata dall’equilibrio di due forze opposte, uguali e contrarie, capace nella sua essenzialità di estrinsecare la logica che sottostà alla vita e alla creatività naturale. Così, a ben vedere, più che di antinomie, per loro natura disgiuntive, disgreganti, è preferibile parlare di sinergie tra complementari». Partendo da questo assunto, il dettaglio della mostra si concentra nella ricerca di una grande polarità: aria | terra.
Aria
Il primo polo è posto all’insegna dell’aria, essendo costituito di leggerezza fisica e mentale, di piena disponibilità all’evoluzione spaziale e concettuale, di una disinvoltura tale da sembrare non richiedere sforzo, come se si desse in assenza di gravità; il tutto declinato con magnifica varietà di soluzioni. Alcune tra le più significative opere di Munari, accompagnate dai disegni progettuali, sono raggruppate in cinque nuclei tecnici e tematici, che corrispondono a cinque stanze espositive.
Immagini di luce proiettate su pareti prive di schermo, create disponendo in vetrini di diapositiva minuscoli pezzetti di vari materiali (piume, foglie, fili, ovatta…): proiezioni dirette, risalenti agli anni Cinquanta. Opere che nascono come visualizzazione di un calcolo mentale o di un teorema matematico: Concavo-Convesso, 1947-1949; Curve di Peano, 1974-1975. Opere sospese che funzionano come “antenne”, pronte a reagire vibrando ai minimi movimenti dell’aria: serie delle Macchine inutili, anni Trenta e Quaranta. Opere costruite su un reticolo di tensioni, strutture sottili che si protendono nello spazio e solleticano ampie porzioni di vuoto: lampada Falkland, 1964; serie Filipesi, dal 1981. Infine, alcune proiezioni: film sperimentale Tempo nel tempo, 3 min. circa, 1964, con Marcello Piccardo (Studio di Monte Olimpino), che utilizza la cinepresa cosiddetta “microscopio temporale” per dilatare a tre minuti la durata del volo di un atleta impegnato nel salto mortale; due veri e propri happening, ingiustamente poco ricordati, documentati rispettivamente da un film di Gianfranco Brebbia e una serie fotografica di Ugo Mulas; in essi l’aria, in quanto elemento fisico, agisce concretamente sulle forme geometriche con effetti tutti da scoprire (UFO, 1968; Aria (o Far vedere l’aria), 1969); due grandi realizzazioni, documentate per la prima volta nell’interezza della fase progettuale, estendono su scala urbana la sensibilità all’aria delle Macchine inutili: Stazione meteorologica, Rende (CS), 1979-1980; Giocattolo per il vento, Rossano (CS), progettata da Munari nel 1994-1995 e realizzata postuma nel 1999-2001 sotto la cura dell’architetto Fernando Miglietta.
Terra
Il secondo polo va intitolato alla terra: la leggerezza delle opere si traduce in fare, il carattere aereo e smaterializzato si congiunge con l’obiettivo di divulgare i risultati ben oltre l’ambito ristretto dell’arte, intesa come privilegio esclusivo, elitario, per riversarli nelle pratiche concrete della quotidianità. Il fine divulgativo fa scattare in Munari sia l’attività di designer al servizio dell’industria più illuminata, sia la progettazione esperienziale destinata a stimolare il pieno sviluppo della creatività di ciascuno.
Quattro stanze sono attrezzate a esemplificazione di attività destinate ai visitatori, bambini e adulti. Tali stanze del fare, curate dall’Associazione Bruno Munari, consentono ai visitatori di “fare per imparare”, in una dimensione che stimola la sorpresa e la gioia della scoperta. La strada dei sassi “Come sono questi sassi?” La domanda suscita nel visitatore itinerari di catalogazione, invita a trovare legami tra gli oggetti presentati, similitudini e differenze; Lascia la tua impronta, un materiale plasmabile invita a lasciare una traccia, anche utilizzando gli oggetti che ha in tasca o materiali insoliti a disposizione, scelti per la piacevolezza e l’interesse dell’impronta che producono; Il gioco del filo di lana blu, i bambini lasciano cadere casualmente un filo di lana sul piatto della fotocopiatrice, producendo “fotocopie originali” da osservare e con cui, magari, creare una storia; Giochi di luce, al buio, con pile di diversa resa, per scoprire gli effetti della proiezione della luce: da vicino, da lontano, filtrata, spezzata da piccoli oggetti.
Conclude, infine, il curatore: «dal pensare al fare e poi di nuovo al pensare… Si conferma che i due poli non si escludono, semmai si presuppongono, l’uno ingranandosi nell’altro. Anzi, è più corretto dire che non si dà mai il polo aria senza un qualche compenetrazione di terra, e viceversa. In fondo l’aria coinvolge già il designer, pur se al livello della ricerca pura, esplorativa, quando egli non è ancora finalizzato a una determinata commissione ma sa pur bene che, prima o poi, dovrà discendere nella pratica. Dall’altra parte la terra non va certo intesa come materialità crassa e cieca perché custodisce in sé la luce della ricerca, del metodo: l’oggetto di design è un’idea progettuale concretizzata, così come il laboratorio è innesco della creatività tramite l’azione».
La mostra è anche l’occasione per imprimere un nuovo impulso agli studi sull’artista che porteranno, nel giugno 2017, alla pubblicazione di un ampio saggio/catalogo edito da Corraini, che documenterà l’allestimento e le attività che si saranno svolte a Palazzo Pretorio, con il supporto storico-critico di approfondimenti che indagheranno l’opera di Munari dai punti di vista dell’arte, ma anche seguendone i versanti meno indagati, quale le sperimentazioni per il cinema, il teatro, la moda, la fotografia. Il comitato scientifico della mostra e del catalogo è composto da docenti e collaboratori del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova: Elisa Baldini, Guido Bartorelli, Giovanni Bianchi, Alberto Cibin, Alessandro Faccioli, Stefano Franzo, Cristina Grazioli, Mariana Méndez Gallardo, Alberto Munari, Silvana Sperati, Federica Stevanin, Giuseppe Virelli.
Alcuni suggerimenti per approfondire l’opera di Bruno Munari: Artista e designer, Arte come mestiere, Design e comunicazione visiva. Contributo a una metodologia didattica, Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale.
Informazioni
La sede espositiva è il PALAZZO PRETORIO a Cittadella (PD), Via Marconi n.30
Orari di apertura: chiuso il lunedì, dal martedì al venerdì 9:00–12:30 / 15:00–19:00; sabato e domenica 10:00–12:30 / 16:00-19:30
BIOGRAFIA BRUNO MUNARI
Bruno Munari nasce a Milano nel 1907 e trascorre la fanciullezza a Badia Polesine (RO), nei pressi dell’Adige, dove i genitori gestiscono un albergo. Con la maggiore età si stabilisce a Milano, dove aderisce presto al Futurismo ed espone in importanti mostre collettive (Galleria Pesaro, Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma, Triennale di Milano). Nel 1930 realizza la Scultura aerea, cui seguirà l’importante serie di sculture sospese Macchine inutili (dal 1933 in poi). Dal 1930 sino al 1937 è associato con Ricas (Riccardo Castagnetti) nello studio grafico R+M. In questo periodo lavora per riviste (“La Lettura”, “Natura”, “Settebello”, “Grandi Firme”), libri (Il poema del vestito di latte di Filippo Tommaso Marinetti) e pubblicità (Campari). Nel 1942 pubblica il libro umoristico Le macchine di Munari (Einaudi). Dal 1939 al 1945 lavora come grafico per Mondadori ed è art-director della rivista “Tempo”. Nel 1945, sempre con Mondadori, comincia una lunga e fortunata serie di libri per bambini, stimolati dalla nascita, nel 1940, del figlio Alberto. Nel 1947 realizza Concavo-convesso, nuova scultura sospesa. Nel 1948 è tra i fondatori del MAC (Movimento Arte Concreta), assieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. A partire dal 1949 pubblica i Libri illeggibili. Nel 1951 presenta le prime Proiezioni dirette, vetrini di diapositive in cui sono inseriti frammenti di vari materiali ingigantiti dalla proiezione. Dal 1952 lavora nel campo del design industriale progettando giocattoli in gommapiuma (Gatto Meo e Scimmietta Zizì, Pirelli), il Portacenere cubico (Danese, 1957), le lampade di maglia Falkland (Danese, 1964). Un oggetto prodotto in serie a pura funzione estetica è Ora X (Danese, 1963 su prototipo del 1945). Nel 1962 organizza la mostra collettiva itinerante Arte programmata, sostenuta dalla Olivetti, con testo critico di Umberto Eco (Milano, Venezia, Roma). Nei primi anni Sessanta disegna la veste grafica delle collane editoriali Einaudi. Nello stesso periodo, presso lo Studio di Monte Olimpino (CO), collabora con Marcello Piccardo alla realizzazione di film sperimentali, tra i quali Tempo nel tempo (1964). Nel 1970-1971 progetta la struttura Abitacolo (Robots). Nel 1974-1975 torna all’olio su tela con la serie Curve di Peano, basate su una teoria formulata nel 1890 dal matematico Giovanni Peano. Nel 1975 disegna il simbolo grafico della Regione Lombardia. Negli anni Settanta l’infanzia è sempre più al centro dei suoi interessi, il che lo porta a progettare numerosi laboratori didattici. Il primo di questi è realizzato nel 1977 per la Pinacoteca di Brera. Negli anni Ottanta prosegue a sperimentare con i materiali più vari, ad esempio nella serie Filipesi (dal 1981). I suoi saggi principali sono: Arte come mestiere (Laterza, 1966), Design e comunicazione visiva (Laterza, 1968), Artista e designer (Laterza, 1971), Codice ovvio (Einaudi, 1971), Fantasia (Laterza, 1977), Da cosa nasce cosa (Laterza, 1981). Nel 1995 riceve il premio “Compasso d’oro” alla carriera, dopo i numerosi assegnati a progetti specifici (a partire da quello del 1954 per la Scimmietta Zizì). Muore a Milano nel 1998.