BLUES DELLE ZUCCHE | Intervista A Sebastiano Gatto

Raffaello Bassotto Archivio Fotografico

Il Blues delle zucche è un romanzo breve e denso, ogni parola è cercata e centellinata. La scrittura di Sebastiano Gatto ha dei tratti “ferini”, procede con sguardo paziente e scrutatore, la voce narrante è a volte presuntuosa e distaccata, artificio necessario per raccontare un dolore, il sentimento di perdita. Il libro parla di una duplice incomprensione, da una parte c’è quella non tanto della morte in sé ma del vuoto che essa crea e che viene vissuto in maniera diversa dalle persone che ne sono coinvolte; dall’altra c’è una riflessione sull’incapacità di comprendere e di comunicare con “l’altro”.

Ci sono ferite che tendono a cicatrizzare velocemente, a lasciare sì un segno sulla pelle, ma poco visibile. Altre ferite non lasciano apparentemente alcuna traccia esteriore ma rimangono attive nel circolo linfatico, intossicano e devono essere debellate. Poi, all’improvviso, accade che il dolore chieda il prezzo per essere stato accantonato, non resta che provare ad accettarlo, a sostenerlo. Il libro è uno spaccato sull’irrequietezza della generazione degli anni ’70, uno dei vari prototipi dell’essere umano.

Il titolo, nel frontespizio, porta un’aggiunta indicata tra parentesi: (Quattro incontri veri, uno a metà e uno immaginato), una scansione temporale per ricostruire un racconto, la vita di un amico che non c’è più. Gli eventi tengono il ritmo con le parole, a contestualizzare gli anni suona spesso il richiamo di una canzone e nomi di personaggi della storia, moderna o passata, sono sempre accompagnati dall’anno di nascita e di morte, a memoria del passaggio delle zucche nel “mercato della vita”.

INTERVISTA

Perché le zucche suonano il blues?

Blues lo intendo nel suo significato originario: un veicolo per cantare la fatica e il dolore, che può assumere i tratti dell’orazione funebre. E dato che nel libro si dice che le zucche siamo noi, o buona parte di noi, l’orazione funebre è per quelli che di noi che non ce la fanno.

Ambienti il romanzo tra Mestre e Santiago de Compostela: perché ti sono cari questi due luoghi?

Sono due città che conosco molto bene, nelle quali ho trascorso lunghe e profonde esperienze. In questo caso mi servivano per creare una polarità geografica, estetica, storica. Solo un elemento nel mio libro le accomuna: la vita delle periferie, quella dove vivono le zucche.

Sebastiano Gatto

Trovare la propria strada non è semplice, uno dei risvolti delle storie che racconti sottolinea che una cosa è dove nasci, altra cosa è ciò che sei. Come interagiscono questi due vettori nei protagonisti?

Nascere agiati e in un bel posto non garantisce la felicità. Nascere in un quartiere popolare e con la spia della riserva sempre accesa non garantisce l’infelicità. Per altro, in Veneto, si è risolto a monte il problema: la parola felicità nei nostri dialetti non esiste: troviamo “contento”, “accontentarsi”. La differenza la fa, a mio avviso, la capacità di cambiare prospettiva o, al contrario, di opporsi a una prospettiva unica. I protagonisti di questa storia ci provano, ma la strada è ardua e il risultato non è quasi mai quello desiderato.

Quanto influisce il tuo animo di poeta nell’essere un paziente scrutatore nella narrativa?

Ho sempre fatto fatica a definirmi poeta: preferisco considerarmi uno che lavora sulla parola e con la parola. Nel mettere assieme queste pagine di prosa ho mutuato la stessa attenzione che ho sempre cercato di mettere nei versi, da qui –tra le altre- la brevità delle prose, che, tradotto, vuol dire rinunciare al superfluo, cioè togliere aggettivi, cercare una qualche cantabilità, leggo sempre ad alta voce quello che scrivo, e tenere il ritmo.

“Il vivo fa un segno, il morto fa un vuoto”. La perdita di una persona è un’assenza fisica ma la percezione di chi non c’è rimane, lascia una traccia. Cosa ti ha spinto a trattare un tema così complesso?

Porto dentro di me la storia che racconto nel Blues delle zucche da molti anni: nel libro Horse Category, uscito ormai parecchio tempo fa, nella sezione Stanze per Luca, ho affrontato in poesia lo stesso argomento. La perdita della persona che sta dietro a quella sezione e a questo libro ha lasciato in me delle cose irrisolte che ciclicamente riemergono e ciclicamente provo, o meglio, ho la necessità di comprendere. Esigenza, necessità, urgenza: sono queste le ragioni di questa scelta.

Auguriamo buona lettura con Berlin di Lou Reed, uno dei pezzi che colorano lo sfondo della narrazione.

Blues delle zucche è edito da Amos edizioni.

Credits immagine di copertina: Raffaello Bassotto © Archivio Bassotto

Informazioni su Chiara Stival 115 Articoli
Chiara Stival è curatrice dei canali arte e cultura per Italiandirectory e copywriter per i contenuti web e social media di alcuni clienti del magazine. Promotrice di eventi artistici e rassegne letterarie, è stata editor della collana Quaderni di Indoasiatica per passione e formazione universitaria dedicata all’India. Il suo blog è chiarastival.com, potete visitare il suo profilo su Linkedin, Facebook e Instagram.