The Shape of Water. Leone d’Oro 2017

The Shape of Water di Guillermo Del Toro

Grandi applausi e commozione per il regista Guillermo Del Toro alla consegna del Leone d’oro al Festival Internazionale del Cinema di Venezia.

The Shape of Water è stato eletto a larghissima maggioranza dalla Giuria presieduta da Annette Bening; il film aveva conquistato critica e pubblico fin dalla sua presentazione. L’uscita americana è prevista per l’8 dicembre 2017 e sarà presentato nelle sale italiane, col titolo “La forma dell’acqua”, il 15 febbraio 2018, in piena campagna per l’Oscar, la cui cerimonia è prevista per il 4 marzo.

Guillermo Del Toro durante la premiazione

L’amore vince su tutto, sembra essere questo l’emblema del film. Un amore che si manifesta tra Elisa, una ragazza muta, addetta alle pulizie di un laboratorio scientifico di Baltimora, interpretata con molta sensibilità da Sally Hawkins, e una verde mostruosa creatura degli abissi, impersonata da Doug Jones. Questo essere marino, con tanto di squame e aculei sulla schiena e unghie affilate come coltelli, può vivere poco tempo all’aria aperta dato che l’acqua salata è il suo ambiente naturale. Tra i due nasce un amore che arriva persino al rapporto intimo e sessuale, trattato dal regista messicano con molto garbo e senza compiacimento.

È una fiaba, che evoca alcuni classici della fantascienza: come La bella e la bestia o King Kong. Il film è ambientato sullo sfondo della guerra fredda in America, intorno agli anni ‘60. Come nelle fiabe esistono gli eroi, anche in questa proiezione possiamo riconoscere alcuni valorosi personaggi che si muovono affianco alla protagonista: la sua collega di colore, Zelda (Octavia Spencer), e Giles (Richard Jenkins), il professore artista pubblicitario omosessuale, vicino di casa e amico, figura paterna più che reale.

Il regista propone diversi temi, prima di tutto l’amore possibile anche nella diversità dimostrando come una persona muta e un essere degli abissi riescano ad avere una relazione; il razzismo, attraverso la crudeltà esercitata dal guardiano americano; l’omosessualità osteggiata nell’ambiente statunitense di quel periodo. Giles è lo scienziato russo che cerca in ogni modo, fino alla morte, di salvare la creatura oggetto degli esperimenti americani ed è contrapposto al personaggio “cattivo”, Strickland, violento e arrogante, sessita e razzista – metafora degli Stati Uniti dell’epoca – interpretato magistralmente da Michael Shannon, che sembra individuare la chiave per il rilancio degli USA nella corsa tecnologica contro l’Unione Sovietica.

La creatura, catturata dagli americani per sottoporla a degli esperimenti, viene tenuta prigioniera e maltrattata dal perfido Stickland. Egli tortura con scosse elettriche l’odiato essere, secondo lui spregevole, il quale, nel tentativo di difendersi, gli procurerà qualche ferita; per il carceriere saranno solo validi motivi per aumentare sempre di più la rabbia ed il desiderio di ucciderlo. A tante angherie cercano di opporsi, di nascosto, i nostri eroi e l’amante dell’anfibio, che si batterà fino all’estremo per salvarlo.

La conclusione è un classico “amore per sempre”, il cattivo tenta di uccidere il buon mostro, ma alla fine, sarà lui a soccombere, mentre l’anfibio finalmente nuoterà libero, proprio come nelle migliori fiabe. Ma che fine avrà fatto la nostra bella e sensibile amante?

Così si esprime il regista:

«Ho 52 anni, peso 110 chili, ho fatto 10 film, arriva il momento in cui capisci che devi rischiare tutto. Si può fare, se resti puro e credi in ciò che fai. Io credo nei mostri…» E ancora: «Quando l’America parla di tornare grande – “Make America great again” è stato lo slogan di Donald Trump durante la campagna presidenziale – è un sogno del 1962: all’epoca c’erano tante idee per il futuro, ma anche molto classismo e razzismo, gli stessi problemi di oggi. Quando hanno ucciso Kennedy è finita Camelot. Le promesse di unità riguardavano solo un certo gruppo di persone: è stato bello per alcuni, ma non per tanti altri. Sono messicano, quindi so cosa vuol dire essere guardato come “l’altro”. Ho cercato di prendere tutta l’alterità possibile e attribuirla alla creatura. Quindi è ambientato negli anni ’60, ma parla dei problemi di oggi, poiché anche oggi si sceglie la paura al posto dell’amore. Eppure, l’amore è tuttora la forza più grande dell’universo. I Beatles e Gesù possono avere torto singolarmente, ma non entrambi insieme!».

Informazioni su Gianfranco Missiaja 52 Articoli
Gianfranco Missiaja, architetto e artista, ha esposto le sue opere in più di 90 Mostre internazionali. Ha pubblicato numerosi testi di critica e storia dell'Arte e una Guida alla 57a Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. - Sito web: venicegallery.it