Trama e ordito de Il battito oscuro del mondo si intrecciano a formare un tessuto narrativo che ricorda un bukhara, tappeto turkemeno riconoscibile per il classico disegno a pianta ottagonale, che si ripete con regolarità su tutto il campo, linee orizzontali e verticali racchiuse da una cornice ricca di bordure su sfondo bordeaux. Il romanzo di Luca Quarin è ben rappresentato da questo drappo intessuto, oltre che per l’intreccio delle storie soprattutto per il loro ripetersi, una reiterazione a più livelli: nelle storie personali e familiari e nei temi che la narrazione va a scandagliare.
Il testo cela, dietro e per mezzo di personaggi erotomani o dall’ingegno eccezionale, una denuncia verso il sistema capitalistico, causa-effetto di una degenerazione sociale in grado di riprodurre soltanto sé stessa, in una perdita d’identità che si affida più all’intelligenza artificiale che a quella umana, perché è questo il successo dei tempi moderni. Una scrittura scorrevole e ricercata percorre la storia pluriennale di una ricca famiglia americana, dal 1964 in poi, con cadenze biennali, stacchi decennali e digressioni nel passato; ogni capitolo racconta le vicende dei protagonisti sullo sfondo di riferimenti storici, dove indizi disseminati tra gli eventi si rincorrono o si aspettano, e ambiguità si dissolvono in una ricerca delle origini. Proprio come se Quarin stesse scrivendo il libro in un telaio, fino all’ultimo filo il lettore non riuscirà ad avere il quadro completo dell’intreccio dei racconti.
A tratti i fatti assumono una caratterizzazione noir, sensazione provocata dall’evocazione di acque abissali o di cieli cupi che preannunciano la tempesta, da una percezione di morte e di mistero che avvolge la narrazione come una pellicola trasparente. C’è una gestualità che si ripete incapace di rinnovarsi e una perversione che trova spazio nella quotidianità, ci sono vite che scivolano nell’acqua senza traccia d’amore, come se l’unica eredità familiare che realmente conta sia mantenere, se non aumentare, il patrimonio.
Il battito oscuro del mondo mostra uno spaccato di vita americana come pretesto per invitare a considerare alcuni aspetti della contemporaneità. L’eredità filosofica occidentale si è completamente dispersa, il lascito di un pensiero in cui l’uomo è uomo e non una macchina assemblata cede il passo all’industria 4.0, con il benestare della finanza e della globalizzazione. Le azioni dei personaggi svelano una natura ciclica incapace di interrompere il ‘flusso del male’, perché la debolezza prevale sulla volontà, provocando il perpetuarsi di dinamiche individuali e sociali: raggiungere la fine e ricominciare dall’inizio, senza una consapevolezza o una responsabilità nel leggere ciò che sta nel mezzo.
Come ultima riflessione è inevitabile chiedersi se dell’Uroboro non sia rimasto che lo scheletro; il serpente che si mangia la coda ha perso il suo valore simbolico oppure si è persa la capacità di leggerne il senso? La circolarità rappresenta il movimento spiraliforme dell’eternità e, al contempo, è espressione di unità e immagine dell’androgino primordiale, è metafora, fin dai tempi di Plotino, dell’individuo che si muove verso l’Assoluto, proprio per “chiudere” il cerchio, per restituire quell’uno al Tutto. Il simbolo è stato privato del suo significato principiale e così l’uomo moderno preferisce all’unità una programmata frammentazione nella molteplicità.
INTERVISTA
Perché scegli gli States e in particolare New Bedford per ambientare il tuo romanzo?
È cominciato tutto con il video I love you di Woodkid, dove si vede un pastore protestante che arringa i fedeli, in una chiesa piccola e spoglia come quelle che si incontrano spesso negli stati del New England, e un capodoglio che si immerge nelle acque gelate dell’oceano, citazioni evidenti del film Moby Dick di John Huston, anche se per la differenza fisica tra i due personaggi non ho pensato al sermone di padre Mapple/Orson Wells. L’altro punto di partenza è stato il desiderio di raccontare di Android, la piattaforma attraverso la quale comunichiamo con il mondo e viviamo la parte digitale della nostra esistenza. Queste due suggestioni si sono congiunte quando ho scoperto che Andy Ruby, lo sviluppatore di Android, era nato a New Bedford, la cittadina in cui ha inizio Moby Dick di Melville. La storia si è quindi messa in moto e a me non è rimasto altro che inseguirla.
Prima di entrare nel vivo delle tematiche del romanzo, ti chiedo alcune curiosità sulla scrittura: i luoghi del racconto sono spesso rivelati da descrizioni particolareggiate, il tempo dai riferimenti musicali e un ritmo ciclico dal gioco delle omonimie, quanto difficile è stato mantenere la coerenza di questo impianto narrativo?
Il principio lo conosci già: se c’è una pistola carica prima o poi deve sparare. Detto in altri termini, il cuore di un romanzo è la domanda che contiene, non la risposta che dà. Sviluppare una narrazione su più livelli consente quindi di aumentare il numero delle domande e la loro complessità e permette alle risposte, sempre che ci siano delle risposte, di fluttuare tra questi livelli, come un branco di capodogli nelle profondità dell’oceano.
È la stessa cosa che fa lo sciamano invocando gli spiriti dell’aldilà e mettendoli in contatto con le figure dell’aldiquà: utilizza una serie di elementi per delimitare il contorno della sua esperienza e sviluppa un racconto che vibra tra questi livelli per cercare di dare risposta agli interrogativi che gli ha posto la comunità; oppure pensa alla performance I like America and America likes me dove Joseph Beuys, avvolto in una coperta di feltro e armato di un bastone da pastore, rimase per giorni in compagnia di un coyote selvatico, nella Block Gallery di New York, finché riuscì ad instaurare un rapporto pacifico con l’animale e l’aldilà, ossia la dimensione primitiva del coyote, venne a contatto con l’aldiquà, ossia la dimensione culturale dell’artista.
Il romanzo è diviso in tre parti, nella prima l’elemento acqueo è molto presente, assieme al tema del sesso e della morte: sono collegati?
In effetti è vero, l’acqua è il medium attraverso il quale si propaga la sonorità più occulta e misteriosa del romanzo, il liquido amniotico che nutre la stirpe degli Ogden Chapin. Se pensi alla scena centrale del primo capitolo, quella in cui Abbey, poco prima di partorire, si immerge in mare e viene sfiorata da un piccolo cetaceo, è evidente che il liquido che c’è dentro di lei è lo stesso che si trova fuori da lei e che la storia che sta nascendo prosegue quella che è già iniziata, attraverso il movimento circolare dell’animale.
L’elemento acqueo riconduce alla trama dei cetacei, che è una delle tre trame principali del romanzo. Il battito oscuro del mondo racconta infatti la storia di una famiglia, la storia di una comunità e la storia di una balena. Poi ci sono alcune sotto trame, che servono più che altro a sviluppare il discorso culturale e metanarrativo: la musica, la letteratura, la finanza.
Riguardo le prime due, prendi ad esempio il rapporto tra Moby e Moby Dick, Edward Morgan Forster riteneva che non ci fossero dubbi sul fatto che il tema spirituale del romanzo di Melville fosse la lotta dell’uomo contro il male, condotta con mezzi sbagliati tanto da produrre il risultato opposto, il perpetrarsi dello stesso male. Ma aveva anche piena consapevolezza che tutto questo non era sufficiente a descrivere il modo in cui si sviluppava questa lotta: «L’essenziale in Moby Dick, la sua canzone profetica, scorre come una corrente di fondo in direzione opposta all’azione e alla sua apparente moralità. Si trova fuori dalle parole»; ancora: «nulla si può affermare su Moby Dick salvo che è una lotta. Il resto è musica».
Un altro tema che emerge dall’intreccio di storie è quello della frammentazione dell’uomo moderno. È una presa d’atto o un risk alert?
Credo si tratti di una linea di frattura che ha sempre accompagnato la vita umana ma che nel contemporaneo sta assumendo alcune forme peculiari, anche per la rivoluzione o per le rivoluzioni che si stanno verificando e mi riferisco all’industria 4.0, all’intelligenza artificiale, ai social media e a questo genere di frontiere. Pensa anche alle fake news o al rapporto tra realtà percepita e realtà dei fatti, distorsioni che stanno condizionando profondamente il nostro vivere comune.
Ho scelto di rappresentare queste fratture con una serie di espedienti narrativi, usando ad esempio un tono sempre al limite tra reale e irreale, la continua presenza di omonimi, la sessualità pornografica di alcuni personaggi, per indurre il lettore a stare continuamente all’erta, domandandosi se ciò che sta leggendo è vero o non è vero, è possibile o non è possibile, che mi pare un atteggiamento abbastanza sano per affrontare il presente. Poi è ovvio che è tutto più complesso.
Fin dai tempi di Plutarco è noto ad esempio che “chi inganna è più onesto di chi non inganna e chi si lascia ingannare è più saggio di chi non si lascia ingannare”. Questo discorso, se da un lato riporta al patto di cui dicevo prima tra lo scrittore e il lettore, e quindi a quella “sospensione volontaria dell’incredulità” di cui parlava Coleridge, dall’altro rinvia al rapporto tra verità e verosimiglianza all’interno della narrazione, rapporto che ha avuto il primo punto di svolta in chiave postmoderna con L’accostamento di Almotasim di Borges, nel 1936, la recensione di un libro fittizio che diventava un libro autentico, impedendo al lettore di distinguere quale fosse il vero e quale il falso e che differenza ci fosse tra i due, visto che entrambi concorrevano alla formazione del testo.
La narrazione si svolge su piani diversi, quello reale, quello onirico o visionario, a volte anche quello schizofrenico, inteso come “alterazione della realtà percepita”: è questo il battito oscuro del mondo?
Sì, esatto, è proprio così, è quella frattura di cui parlavo prima, quella che impedisce alle cose di essere unitarie e che rende tutto duplice, triplice, potenzialmente infinito. Nel tempo digitale in cui viviamo mi pare particolarmente importante cercare di tenere a bada questo processo di frantumazione, assecondandolo ma anche contrastandolo, ben sapendo che non possiamo venirne a capo ma solo trovare il modo migliore per convivere con esso. È anche un po’ quello che un personaggio dice nel capitolo finale: «ognuno deve fare la sua parte nella storia anche se non serve a nulla».
Ecco, ho l’impressione che questa consapevolezza, quest’umiltà, sia l’unico antidoto possibile al bisogno di unità che conduce inevitabilmente ai totalitarismi e alle follie che prendono periodicamente il sopravvento nella storia umana.
C’è un personaggio, compare un’unica volta, che mi ha fatto venire in mente il film The Whale Rider. La balena e gli altri cetacei sono il simbolo di una speranza o di “qualcosa” in via d’estinzione?
Tra le due direi che si tratta più di un simbolo di speranza che di estinzione, vista la permanenza e l’ubiquità di questa figura all’interno del nostro immaginario. Pensa a Leviathan or the matter, forme and power of a common wealth ecclesiastical and civil con cui Hobbes, nel 1651, affrontò il discorso sulla forma e sulla legittimità dello stato di diritto. Oppure a Moby Dick di Melville che, oltre ad essere il romanzo fondativo del capitalismo americano, è uno dei primi “romanzi balena”, ossia narrazioni che ingoiano altre narrazioni che ingoiano altre narrazioni – Horcinus orca di D’Arrigo è uno degli ultimi.
O ancora alla balena di Pinocchio, che in verità era un pescecane nella versione di Collodi ma che nel film di Walt Disney è diventata una balena e tale è rimasta, che ha un carattere più psicanalitico, configurandosi come il ventre in cui ha inizio la trasformazione del protagonista da burattino a uomo. Dunque, la balena come un filo che attraversa i diversi momenti delle vicende umane, cucendoli in una storia che ha bisogno di tutta la nostra forza per poter essere governata.
Credits immagine di copertina: Gregory Colbert, Ashes and Snow
Songbook
Last kiss, Frank Wilson, 1964
Baby love, Supremes, 1964
Ain’t too proud to beg, Temptations, 1966
Beauty is only skin deep, Temptations, 1967
Sugar magnolia, Grateful Dead, 1970
Harvest, Neil Young, 1972
You should be dancing, Bee Gees, 1976
Because the night, Patti Smith, 1983
Lovable, Elvis Costello, 1986
City of dreams, Talking Heads, 1986
Papa don’t preach, Madonna, 1986
Tears in heaven, Eric Clapton, 1992
Drop a beat, Moby, 1992
Move, Moby, 1995
Big poppa, Notorius, 1995
Back to black, Amy Winehouse, 2006