Aumentare l’IVA sulla carne: sarà questa la soluzione del futuro?

“Perché mai dovrei smettere di mangiare carne e prodotti animali? Che cosa ne ricaverei da questo inutile e costoso sacrificio? “

Questa è la domanda che la maggior parte di noi si porge quando si parla o si discute della dieta vegana (o di un’alimentazione prevalentemente ‘plant-based’) come base per arrivare ad uno stile di vita più sostenibile che possa portare benefici al nostro pianeta e preservarlo.

Eppure, se pensassimo agli enormi risultati che potremmo ottenere se l’intera popolazione mondiale, o la maggior parte di essa, diventasse vegetariana o vegana forse cominceremmo ad avere una visione diversa di questo stile di vita che non é poi così estremista e fuori dal normale come si potrebbe pensare.

Ma allora, se la soluzione risiede davvero nell’adottare una dieta ricca di alimenti più salutari ed ecosostenibili, perché non tassare i prodotti più dannosi alla nostra salute e alla nostra Terra?

Questa è la proposta che arriverebbe dal Parlamento europeo di Bruxelles, emersa nel corso dell’evento “The True Price of Meat” (Il vero costo della carne) per andare incontro alle esigenze del nostro pianeta : la tassa progressiva porterebbe a un rincaro di circa il 25% del prezzo della carne ma, allo stesso tempo, frutta e verdura e altri alimenti considerati sani e a basso impatto ambientale non verrebbero tassati.

Questa proposta in effetti ha un suo perché : con l’aumento della popolazione mondiale è aumentata conseguentemente la richiesta di allevamenti e di produzione di carne e, annesso a questi, anche l’emissione globale di gas serra.

Secondo studi recenti il cibo è responsabile di più di un quarto delle emissioni di gas serra e l’impatto dei prodotti animali supera quello dei sostituti vegetali tanto da richiedere l’uso dell’83% del terreno coltivabile del mondo.

Il fatto di non essere riusciti a ridurre le emissioni di gas serra potrebbe precludere il raggiungimento dei traguardi climatici previsti dal Patto di Parigi e non riuscire a soddisfare gli obiettivi del protocollo di Kyoto.

Bisogna evidenziare anche il fatto che il consumo di carne è stato associato a vari tipi di cancro, diabete e malattie cardiache.

Le prove scientifiche concernenti problematiche ambientali associate con la produzione di carne e i problemi di salute derivanti dal suo consumo sono indiscutibili e questo renderebbe l’industria della carne un modello di economia e tassazione comportamentale.

Il dibattito riguardo questa tematica è stato reso noto in tutto il mondo, soprattutto in Europa dove le accise sul tabacco e sull’alcol hanno una comprovata esperienza.

Quindi, potremmo affermare che un provvedimento per portare a compimento questa proposta riguardante la tassazione della carne potrebbe essere vicino vista la necessità imminente di coprire i costi salutari e ambientali che sorgono proprio dall’ utilizzo di animali a scopo alimentare. Questo è ribadito anche da organizzazioni come Greenpeace e Peta, che stanno spingendo i governi di tutto il mondo ad agire concretamente.

Sembra evidente che gli effetti negativi indotti dalla carne non si riflettano nel suo prezzo al dettaglio proprio perché l’attaccamento culturale a questo tipo di prodotti rende difficile effettuare un qualsiasi tipo di cambio di visione su carne e derivati: si incontra nient’altro che resistenza, oltre ai potenziali effetti negativi che si verrebbero a creare all’economia, il che rende avversi anche i responsabili politici stessi.

Dunque, considerando che consumare meno carne porterebbe benefici non solo a livello ambientale ma alla stessa salute del consumatore, non dovrebbe sorprenderci il fatto che in così tanti si stiano battendo per arrivare, finalmente, ad una tassa sulla carne.

Ma perché risulta così difficile prendere un tale provvedimento?

I critici sostengono che una tassa forfettaria e regressiva come, appunto, quella sulla carne avrebbe un impatto non indifferente sulle famiglie meno agiate le quali sono più portate a consumare carne. Tuttavia, i dati della OECD dimostrano il contrario: la domanda di carne è associata a redditi più elevati.

L’elaborazione di un’imposta volta a gravare i contribuenti in termini di danni ambientali e alla salute potrebbe rivelarsi efficace anche se la popolazione a basso reddito è di solito più orientata/sensibile ai prezzi, a condizione che la domanda sia sufficientemente elastica o elastica rispetto ai prezzi, come sembrano dimostrare gli studi come ‘Meat Demand Monitor’ (Monitoraggio sulla domanda di carne) condotto dall’ Università del Kansas.

Se fatto in modo sbagliato, e senza tener conto della risposta dei produttori, della struttura dei prezzi e delle imposte e dell’elasticità incrociata, però, questo provvedimento potrebbe avere un potenziale impatto dannoso e tradursi in una ridistribuzione della spesa in tagli di carne più economici, promuovendo pratiche di produzione e qualità ancora meno sostenibili, al posto di indirizzare il consumo verso alternative vegetali.

Inoltre, una tassa di questo tipo potrebbe scatenare disordine e proteste sociali.

Le accise potrebbero non essere la risposta. Infatti, la tassazione della carne e la regolamentazione di questo settore dovrebbero richiedere politiche fiscali globali, armonizzate e progressiste.

E allora sarebbe possibile trovare un compromesso?

Una soluzione di tale efficacia in quanto a indirizzare il consumo verso una dieta ‘plant based’ potrebbe essere trovata nell’IVA dato che al momento la maggior parte di paesi impone un’IVA piuttosto ridotta sulla carne.

Incrementare l’IVA su tali prodotti e abbassarla, invece, su prodotti di origine vegetale o, addirittura, a creare un’esenzione dall’IVA per prodotti come frutta e verdura potrebbe essere la soluzione perfetta per conseguire cambiamenti comportamentali nelle tendenze di consumo e affrontare l’equità verticale e l’eccessiva o potenziale regressività.

Questa soluzione potrebbe anche aiutare il morale fiscale e i modelli progressivi, in quanto può essere graduale o anche aggiustato per adattarsi alle specifiche di ogni paese e alle strutture tariffarie.

Essendo una soluzione che favorisce l’esistenza di regimi transitori, i quali potrebbero stabilire un’aliquota intermedia per un determinato periodo di tempo, o dove potrebbe essere adottata una misura di sostegno per carne e latticini prodotti biologicamente, potrebbe essere più facile adottare questo sistema soprattutto in Paesi dove ci si aspetta più resistenza dai consumatori e dai produttori.

Interessante è anche un recente sondaggio condotto sui consumatori da TAPP ( True Animal Protein Price Coalition) che ha dimostrato che circa il 70% degli Europei occidentali sono in favore dell’innalzamento dei prezzi e delle tasse sulla carne: questo indicherebbe che il morale fiscale non si porrebbe nemmeno come un problema così grande come molti legislatori si aspettavano, o almeno, il problema non si presenta come irrisolvibile se parliamo dei Paesi sviluppati.

Altre argomentazioni a sostegno

Insieme alle argomentazioni contrarie agli allevamenti per ragioni legate alla salute e all’ambiente, molte sono da dedicare anche agli animali stessi, come è emerso nella stessa conferenza di Bruxelles.

“Il primo passo è eliminare le sovvenzioni dirette agli allevamenti intensivi, e applicare tasse su questi prodotti alimentari non salutari che vengono fabbricati in modo disumano” ha detto Olga Kikou, Capo dell’Ufficio UE di Compassion in World Farming.

Non esiste più l’immagine idilliaca del contadino che vive in un’area rurale e ama i suoi animali: due pecore, una decina di mucche e di maiali… Quello che abbiamo ora è sofferenza, allevamenti intensivi, condizioni disumane che il bestiame è costretto a sopportare. Cosa ci spinge dunque a sostenere ancora queste grandi industrie? Non è ora di fare un cambiamento per la nostra salute e per il mondo del quale noi stessi abbiamo sconvolto i perfetti equilibri?

Informazioni su Denise Zerlotto 6 Articoli
Denise, 18 anni, studia lingue straniere (spagnolo, russo e inglese) presso il Liceo Linguistico A. Canova e si interessa di musica, arte e tematiche ambientali e una delle sue passioni più grandi è la scrittura. Ha scritto i suoi articoli durante un periodo di stage presso HDEMO editore.