Gli astrociti, gli allenatori della nostra memoria

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Cosa sono gli astrociti e perché sono così importanti? Perché permettono di apprendere, catalogare e memorizzare nuove informazioni: come un complesso sistema di irrigazione, accendono e regolano il flusso di informazioni tra i neuroni distribuendo il “fattore endogeno BDNF” in modo efficiente e capillare. La scoperta nello studio di Marco Canossa (Cibio) pubblicato su Neuron chiarisce una diatriba scientifica che dura da decenni.

Beatrice Vignoli e Marco Canossa
Beatrice Vignoli e Marco Canossa

L’Università di Trento prosegue lo studio sulla famiglia delle neurotrofine, fattori di crescita rilasciati dal target neuronale, scoperte da Rita Levi Montalcini. Vediamo, allora, cosa sono gli astrociti e per quale motivo è utile l’approfondimento a cui il corpo universitario si sta dedicando. Sono particolari tipi di cellule, a forma di stella, che nel sistema nervoso centrale danno sostegno ai neuroni, assicurano l’isolamento dei tessuti nervosi e la protezione da corpi estranei in caso di lesioni.

Se utilizziamo un’immagine per meglio visualizzare e comprendere la loro efficacia, si può dire che funzionano come un comune nastro adesivo attorno alle sinapsi (strutture che mettono in comunicazione le cellule del tessuto nervoso), anche se molte delle loro caratteristiche sono ancora inesplorate. A lungo si è dibattuto se avessero o meno un ruolo nella trasmissione dei segnali elettrici e ora uno studio pubblicato su “Neuron”, rivista scientifica di valenza internazionale, rivaluta la loro importanza come interruttori della trasmissione delle informazioni dal momento che risulterebbero fondamentali nel processo di costruzione della memoria a lungo termine. In particolare, quel tipo di memoria che, nel contesto di una particolare area corticale (corteccia peririnale), permette il riconoscimento visivo degli oggetti e che viene compromessa, anche seriamente, nei pazienti affetti da malattie neurodegenerative.

Nello studio condotto da Marco Canossa, fisiologo del Centro per la Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento, viene messa in evidenza l’importanza degli astrociti come catalizzatori della trasmissione tra neurone e neurone.

Egli spiega:

Oltre a sostenere i neuroni e metterli in connessione tra loro come una sorta di impalcatura, queste cellule sono in grado di regolare e somministrare in modo adeguato una proteina – il fattore neurotrofico cerebrale BDNF (Brain-derived neurotrophic factor) – che, come una sorta di “farmaco endogeno”, amplifica l’attività delle sinapsi neuronali e permette di apprendere e ricordare nuove informazioni. Svolgono questo ruolo in modo estremamente efficace e capillare perché ciascun astrocita riesce ad accendere e regolare il flusso di informazioni tra più di 100 mila neuroni.

Questa scoperta apre nuove possibilità nel trattamento dei problemi legati alla perdita di memoria nel riconoscimento visivo degli oggetti. Canossa continua la sua spiegazione:

Somministrare artificialmente la proteina BDNF direttamente ai neuroni presenta difficoltà tecniche importanti ed è un procedimento difficile da controllare. Meglio allora sfruttare l’efficienza degli astrociti, proprio come fosse un complesso sistema di irrigazione, per garantire un rilascio controllato della BDNF. In questo modo si regolano le attività delle sinapsi e si allenano le performance del cervello.

Il BDNF appartiene alla famiglia delle neurotrofine, la cui scoperta è valsa a Rita Levi-Montalcini il Premio Nobel per la Medicina nel 1986. Ora, su quella famiglia di fattori di crescita neuronale si concentra l’attenzione degli scienziati di tutto il mondo e, di recente, una linea di ricerca su questo tema scientifico si è aperta anche a Trento con l’arrivo di Marco Canossa. Il lavoro, la cui prima autrice è la ricercatrice Beatrice Vignoli, sempre del Cibio dell’Università di Trento, è stato concertato con lo European Brain Research Institute (EBRI) Rita Levi-Montalcini di Roma, con il quale Marco Canossa ha instaurato una lunga e proficua collaborazione.

Canossa conclude ponendo l’attenzione sull’importanza che gli astrociti hanno nell’ambito dei processi che influenzano la memoria a lungo termine legata al riconoscimento degli oggetti:

Che gli astrociti non fossero da sottovalutare ce lo aspettavamo. Dopotutto, da alcuni anni si sa che il cervello umano si differenziava da quello degli altri organismi anche per possedere astrociti di grandi dimensioni in grado di collegare un alto numero di neuroni e quindi di provvedere ad una maggior capacità di gestire le informazioni mnemoniche, dare più apprendimento e memoria al nostro cervello». Aggiunge, infine, che «la sfida che ora si apre ai ricercatori è quella di capire se e come questa scoperta possa avere implicazioni in altri ambiti della memoria della corteccia cerebrale.

Il link allo studio completo pubblicato su Neuron.

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