
Stamattina una piccola gazza è caduta a terra in giardino. Faceva fatica a rialzarsi e volare. Subito pronto, un gatto si è avvicinato per aggredirla ucciderla e mangiarla. Immediatamente uno stuolo di gazze ha cominciato a svolazzare freneticamente attorno alla piccola bestia frapponendosi al gatto e difendendola. Poi, un inquilino del palazzo, pietoso, ha preso la piccola gazza e l’ha messa al sicuro.
Un esempio di pronto intervento da parte degli appartenenti alla stessa specie. La prima domanda che ci si pone è: come hanno fatto le altre gazze a “sapere” che la piccola era in pericolo? L’avranno vista, si dirà, ma intorno, in cielo non volava nessun uccello.
Allora come hanno fatto ad accorrere subito in soccorso? Ci sarà stata una qualche comunicazione viene subito da pensare. Ed allora, traendo spunto da questo episodio, proviamo ad esplorare le forme di comunicazione animale.
E’ evidente a tutti che gli animali comunicano e comunicano con vari mezzi. La scienza ci dice che essi usano vari tipi di segnali: acustici, visivi, olfattivi, chimici, a seconda della specie cui appartengono. Nei mammiferi dotati di olfatto, ad esempio, prevalgono i segnali di tipo olfattivo; negli uccelli quelli visivi ecc..
Come in ogni comunicazione si distinguono tre fasi:
- stimoli esterni o interni colpiscono un individuo che produce un segnale;
- il segnale viene trasmesso all’individuo ricevente che lo percepisce attraverso adeguati organi di senso;
- il segnale ricevuto viene interpretato mediante il sistema nervoso e provoca cambiamenti nelle condizioni interne dell’animale che risponde.
Se dunque è più che provato dagli etologi che gli animali comunicano fra di loro ci chiediamo subito se, o piuttosto, come, comunicano con noi umani, poiché è sotto gli occhi di tutti che gli animali comunicano con noi e noi con loro. Non essendo dotati di parola, ma solo di emissioni di suoni, i loro strumenti comunicativi sono, di conseguenza, di natura non verbale. Eppure noi parliamo con loro, e tanto!, usando il linguaggio verbale e loro ci rispondono senza usare parole.
[su_note note_color=”#dcdcd1″]Piace qui riportare la sintesi di un racconto di Leopoldo Lugones (autore argentino, 1938-1984) molto toccante: il racconto è raccolto da J.L. Borges per la collana di F.M. Ricci “La biblioteca di Babele”. Narra di una scimmia, Yzur, che viene comprata da un uomo d’affari profondamente convinto “… che non esiste nessuna ragione scientifica perché la scimmia non possa parlare”. Quindi si pone il compito di insegnare all’animale a parlare. Perciò egli si industria con pazienti e laboriosi esercizi (per la scimmia e anche per sé) nella ferrea volontà di dare la parola all’animale. Dopo molteplici e vani tentativi senza successo, l’uomo ricorre alle botte, pur di carpire ad Yzur una parola. Alla fine vi riesce, ma vi riesce quando Yzur, stanca, ferita, ammalata di dolore, agonizzante, con voce flebile dice: “Padrone, acqua. Padrone, padrone mio….”. Yzur muore.
Ancora, a tal proposito mi viene in mente che da bambina , la sera prima dell’Epifania mi raccomandavano di andare a letto presto e di addormentarmi subito, perchè a mezzanotte gli animali avrebbero cominciato a parlare e, se io li avessi ascoltati, sarei morta.
Da queste due suggestioni sembra che la parola sia legata alla morte , morte per l’animale se impara a parlare, morte per l’uomo se ascolta gli animali che parlano. La parola diventa il confine misterioso e invalicabile, limite e rottura fra l’uomo e le altre specie animali.
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Sorge spontanea allora la domanda: cosa capiscono di quel che diciamo e come capiscono, ossia in virtù di quale mezzo o segnale ci capiscono se poi ci rispondono con comportamenti, gesti, suoni pertinenti ai nostri messaggi.
Volendo azzardare una prima ipotesi possiamo pensare che gli animali riducono le nostre parole, per lo più, a suoni aventi una molteplicità di toni e sfumature e sembra che da questi ultimi comprendano le nostre intenzioni: così, ad esempio, un tono dolce e carezzevole può apparire all’animale una promessa o anticipazione di coccole. Quindi, se così è, essi traducono le nostre parole in segnali non verbali incorporandoli nel loro codice comunicativo che è appunto privo di parole.
Una volta effettuata questa operazione rispondono al segnale ricevuto con azioni che diventano per noi stimoli/risposta alla nostra trasmissione del messaggio. Ed il processo comunicativo continua. Che cosa capiscono, ci chiedevamo: tradotti i nostri messaggi in non verbale capiscono le nostre intenzioni, comandi, richieste, rimproveri ecc. Va però sottolineato che quando noi parliamo usiamo sempre gesti, espressioni facciali, sguardi e quindi anche il linguaggio non verbale. La ricezione da parte loro del nostro messaggio è facilitata anche da questo.
E’ prova di quanto appena detto la ricerca effettuata da Charles Darwin ( 1809-1882 ) e pubblicata nella sua opera “L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali”.
[su_note note_color=”#dcdcd1″]Titolo orignale: The expression of the emotions in Man and Animals, traduzione in italiano da F.Bianchi Bardinelli e riveduta da C. Blum.[/su_note]
In questa opera Darwin annotò con certosina pazienza e rigore scientifico tutti i possibili modi in cui l’espressione poteva darsi nei bambini, nei malati di mente, nelle altre razze, nei ritratti d’arte, negli animali. Sottopose inoltre molte fotografie di volti emozionati a persone d’ambo i sessi, le quali interpretarono tutte allo stesso modo le espressioni di quei visi.
Trovò, dopo aver raccolto una grande quantità di materiali, che uomini e animali non solo condividono emozioni ma anche la loro espressione. La conclusione di Darwin fu che la espressione delle emozioni è universale.
Alcune, come la gioia, il piacere, l’affetto, la rabbia, il dolore, lo stupore, la paura sono appunto universali e comuni all’uomo e all’animale, anche nel movimento dei muscoli facciali; altre come il pianto, la depressione, l’ansietà, l’afflizione, lo scoraggiamento, la disperazione , la riflessione, la meditazione, la determinazione, il disdegno, l’affermazione e la negazione, la vergogna e altre ancora sono più specifiche dell’uomo.” – pag. 9 op. cit
La depressione a dire il vero è riscontrabile anche negli animali. Quindi le espressioni delle emozioni per Darwin sono universali e, concludeva: se sono universali sono innate. Nasceva la teoria innatista delle emozioni.
Quindi Darwin sostenendo che con gli animali condividiamo le più diffuse emozioni (paura, rabbia dolore, collera, gioia tristezza ecc) aveva implicitamente posto le premesse per parlare di un linguaggio universale o quanto meno di di un continuum genetico-linguistico. Nella Espressione delle emozioni negli uomini e negli animali Darwin riporta innumerevoli esempi di espressioni comuni a noi e agli animali. Quindi rinvia ad un linguaggio emotivo ed il linguaggio emotivo è prelogico. Non può essere diversamente.
[su_note note_color=”#dcdcd1″]Il lavoro di Darwin è stato oggetto di studio e fonte per il presente contributo, redatto dalla sottoscritta nel libro a più mani “Anima Animale” a cura di Bruno Lauretano e Arena Filippina, ed. ESI 2003.[/su_note]
Ma come possiamo parlare correttamente di linguaggio senza parole usando le parole? Il linguaggio non è fatto di parole? Eppure parliamo di linguaggio del corpo, della tecnica, dell’arte ecc. Come possiamo parlare di espressioni di emozioni se queste appartengono al pre-logico, al pre-verbale? Come possiamo tradurre il verbale nel non verbale e viceversa?
Il filosofo B.Lauretano (1929-2018) ci offre un quadro teorico di riferimento che può dare risposta alle nostre domande.
Scrive il filosofo a tal proposito: “E tuttavia una traduzione è possibile, o meglio è possibile una trans-duzione“.
[su_note note_color=”#dcdcd1″]B. Lauretano, Homo loquens. Semiotica, pragmatica, retorica, ESI Napoli 1992[/su_note]
Muovendo dalla convinzione che “…la mente non è altro che una macchina per tradurre, un deviatore, un dispositivo di transfert, di mediazione e di combinazione, capace di mediare certe cose e di trasformarle in altre cose a quelle collegate da ragioni di corrispondenza” sostiene che “la macchina mentale agisce lavorando su due o più repertori, nel senso che fa transitare sequenze del primo repertorio nel secondo, rimpiazza le une con le altre, in base al principio di corrispondenza-equivalenza” (p. 127-op.cit.)
Il principio di equivalenza di cui parla Lauretano dice che “le sequenze che vengono messe in tensione e in corrispondenza e che vengono permutate, debbono risultare analoghe ed equivalenti (p. 130, idem). Essendo un movimento basato sull’equivalenza, non c’è più traduzione-sostituzione ma soltanto ricerca dell’analogon : i due sistemi comunicativi dell’uomo e dell’animale sono in praesentia e per questo fondamentale motivo, il movimento che si impone è quello di andata e ritorno, è feedback.
Sulla base di questo quadro teorico, la corrispondenza fra verbale e non verbale non avviene più a mezzo di parole ma a mezzo di stimoli e risposte che diventano stimoli per nuove risposte in un movimento continuo: il movimento enantiodromico (ricerca dell’opposto) che avviene di fatto fra azioni di comportamento, più precisamente fra azioni di relazioni.
Un altro studioso, Giorgio Fano, oltre a confermare la comunanza di linguaggio emotivo fra uomo e animale aggiunge che la memoria e l’immaginazione sono , assieme all’emotività, capacità intermedie, anelli comunicativi, fra la sensitività animale e la razionalità umana.
“Se non si tiene alcun conto di codesti anelli intermedi, la catena appare discontinua e il passaggio fra l’uno e l’altro stadio di sviluppo resta oscuro e confuso. In particolare quando si chiede se vi sia negli animali qualcosa di simile al linguaggio, e in genere quali siano le loro possibilità espressive, è necessario tener presente…. che nella produzione linguistica hanno maggiore importanza le facoltà emotive, intuitive e immaginose che non quelle puramente logiche. (p.167-168 op. cit).”
E le immagini popolano anche i sogni degli animali, come si può osservare dai movimenti soprattutto facciali degli animali mentre dormono. Che dire poi, continua lo studioso, dell’intenzionalità d’azione che sembra essere presente in molte scimmie antropomorfe che, grazie alla loro capacità estetica ed imitativa, provano gusto ad adornarsi, imitare, essere attente, curiose e piene di humour. E ancora, come non pensare al fatto che molti animali domestici, nel e per comunicare assumono a simbolo alcuni oggetti domestici?
Molti anni fa avevo un cane che al mio rientro in casa si impossessava di una delle ciabatte lasciate fuori della porta e, tenendola stretta fra i denti, correva in giardino fino a quando non aprivo la porta di casa. Era il suo modo di accogliermi, festeggiarmi? Sicuramente la ciabatta era un medium comunicativo. Comunque sia, resta il fatto che azione ed espressione sono inscindibili. La transduzione in questo caso è perfetta: per Lauretano c’è osmosi. L’operazione successiva, quella di rendere a parole, diventa rischiosa se manca l’analogon.
Conclusione
In conclusione, da quanto sopra detto, possiamo affermare che la comunicazione fra uomo e animale oltre ad essere un fatto universale permette ad entrambi di comprendersi e di interagire.E questo è noto. Ma la cosa più importante è che questa comunicazione avviene a un livello prelogico, anche se noi usiamo le parole e loro no. Ossia noi, anche se ci rivolgiamo agli animali usando parole, in realtà ciò che funziona nella interazione con essi sono il non verbale (toni, gesti, posture ecc), il linguaggio emotivo e il linguaggio delle immagini.
E tale interazione è possibile grazie alla transduzione, ovvero al compimento dell’analogon.
Foto di Chethan Bhat